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mercoledì 24 marzo 2010

84- IL TRIBUNALE DI COSCIENZA

La settimana scorsa ha concluso la sua attività il “Tribunale di Coscienza”, un processo simbolico allo Stato guatemalteco, per i crimini sessuali contro centinaia di donne, commessi durante gli anni del conflitto armato interno dall’esercito e da altre forze repressive.
Questo non è il primo Tribunale di Coscienza che si realizza nel mondo, dato che già ce ne sono stati simili a Tokio, in Ruanda, nella ex Yugoslavia e in Perù. Questo significa che la violenza sessuale contro le donne è stata utilizzata come arma di guerra, non solo in Guatemala, ma anche in molti altri conflitti armati, lungo la storia e in varie parti del mondo.
Per coloro che si domandano: che cosa è la violenza sessuale? è necessario chiarire che questa non si riferisce solamente alle violazioni sessuali, ma che include anche altri crimini, come l’umiliazione sessuale, la schiavitù sessuale, la mutilazione sessuale, la sterilizzazione forzata, la gravidanza forzata e altri. Anche se è certo che alcuni di questi crimini potrebbero avvenire anche nei confronti di uomini, le evidenze dimostrano che quasi sempre sono stati commessi contro donne, come nel caso del Guatemala, dove il 99% delle vittime della violenza sessuali durante la guerre furono donne. La Commissione per il Chiarimento Storico ha documentato 1.465 violenze sessuali su donne, tra le quali l’89% erano maya.  Naturalmente furono molte di più, però molte donne non solo vissute abbastanza per raccontarlo e altre non hanno osato denunciarlo, per paura di essere uccise, o che fossero uccise le famiglie, o che soffrissero umiliazioni comunitarie.
Una delle donne che ha presentato la sua testimonianza di fronte al Tribunale, ha iniziato il suo intervento dicendo: “Noi donne abbiamo dovuto aspettare oltre trenta anni per rompere il silenzio ed esprimere il nostro dolore”. E sia lei che le altre donne hanno parlato in nome di tutto un gruppo che ha condiviso l’umiliazione, il dolore, l’indignazione, il silenzio per molti anni e che oggi condivide la lotta per il recupero della dignità, della memoria e della parola. 
Questo gruppo di donne ha avuto il coraggio di rompere il silenzio e di lanciare una sfida al sistema di giustizia guatemalteco, nella speranza che uno Stato che non solo non aveva protetto né rispettato i loro diritti, ma che fu anche responsabile di quanto successe, finalmente realizzi il compito che gli corrisponde e investighi i riprovevoli atti commessi contro la popolazione in generale e contro le donne in particolare, in quel tempo e ora.
In questo senso, le Magistrate che compongono il Tribunale di Coscienza, hanno affermato nella loro decisione finale che questi atti “furono realizzati da funzionari o impiegati pubblici e agenzie statali delle forze di sicurezza e militari. Così lo Stato è responsabile direttamente per gli atti commessi da civili ai quali aveva delegato, de jure o de facto, la potestà di agire in suo nome, o con il suo consenso, con accondiscendenza  o consapevolezza.
In questa contesto sono compresi i comisionados militares, agenti dell’autorità militare secondo la legge, i patrulleros civiles quando hanno agito organizzati, orientati o costretti, o con conoscenza dell’autorità militare, i padroni delle tenute, per le funzioni di polizia ad essi concesse dal Codice Penale del 1936, e qualsiasi terzo che ha agito sotto la direzione o con cognizione dei rappresentanti statali. Le responsabilità di gran parte di queste violazioni raggiungono, nella linea del potere militare e della responsabilità politica a amministrativa, i più altri gradi dell’Esercito, della Polizia Nazionale e dei Governi che si sono succeduti.
Questo è stato solo il primo passo, poi, dopo il processo simbolico, i tribunali guatemaltechi vedranno avvicendarsi molte domande di giustizia e di risarcimento. Non è importante quanti anni siano passati, dato che il diritto internazionale riconosce la violenza sessuale come crimine di lesa umanità, e questo tipo di delitti non si prescrivono, cioè i responsabili possono essere denunciati e giudicati in qualunque momento, anche se è passato molto tempo.
Grazie alla tenacia e al coraggio delle donne, che hanno osato rompere il silenzio, la società guatemalteca non dovrà continuare sprofondata nell’incoscienza, né le donne dovranno continuare ad attendere che venga riconosciuta la loro dignità umana e il loro diritto alla giustizia.
(Lily Muñoz, AVANCSO,  Adital – 12/03/2010)