Benvenuti nel blog “Orizzonte Guatemala”! Siamo un gruppo di amici del Guatemala e con questo strumento di comunicazione e condivisione vogliamo contribuire a fare conoscere l’attualità di questo bellissimo paese, al quale ci legano vincoli di amicizia e di solidarietà con tanti amici guatemaltechi.


domenica 29 settembre 2013

792 - DON ÁLVARO, UN VESCOVO «INCARNATO» NEL SUO POPOLO

Un Paese in movimento il Guatemala. Miseria e interminabili decenni di guerra hanno costretto gli abitanti a un "moto perenne" per la sopravvivenza. Gli accordi di pace non hanno arrestato la marcia dei nativi, condannati dall’isolamento dei loro poveri villaggi a spostarsi. Sulla strada dissestata per Santa Lucia Talux, alle 11 di quel giorno afoso del 989 si incrociano i destini di due uomini. Uno è un vescovo viandante: zaino in spalla vuole percorrere l’intera regione per incontrare tutte le comunità, anche le più sperdute. L’altro è un contadino senza nome. Il primo si ferma per chiedergli indicazioni. Nota il fagotto che porta con sé e chiede cosa contenga. L’indigeno svolge il panno colorato. Dentro c’è una neonata. Ha il morbillo e deve portarla all’ospedale a Tajamulco, a ore di distanza. Uno sforzo ormai inutile, si accorge il vescovo: la bimba è morta. È questo l’ingresso di Álvaro Leonel Ramazzini Imeri, allora 41 enne, nella diocesi che avrebbe guidato per 23 anni: San Marcos, nel nord-ovest. Da allora, l’opzione per i poveri, gli "scarti umani" di un sistema sociale crudele e arcaico diventa la sua «seconda pelle». «Credo che raggiungere l’empatia con la gente presupponga un contatto personale, disponibilità e apertura anche per capire e cercare di vivere nella propria carne quello che la gente soffre», spiega "monseñor" agli autori di questo libro, Daniela Sangalli e Aldo Corradi, che racconta la storia personale e pastorale di un vescovo che vive una fede incarnata nelle vicende del suo popolo.
Come scrive nella prefazione Alberto Vitali, che dall’Italia segue e accompagna da anni l’azione di Ramazzini, di lui «si può dire quanto vale per altri grandi vescovi latinoamericani: lo si può intendere solo a condizione di non estrapolarne la figura dalla situazione concreta del suo popolo». L’essenza del ministero di don Álvaro sta in una confessione: «Ho iniziato a sentire nel cuore il dolore delle famiglie, dei loro problemi, dei bambini che tagliano il caffè sotto la pioggia». Sentire il dolore, penetrarlo per portarvi dentro una goccia di speranza, anche ora nella diocesi di Huehuetenango. Esponente della Commissione che ha redatto gli accordi di pace del 1996, in prima linea per la difesa dei migranti come presidente della Pastorale della mobilità della Conferenza episcopale, voce instancabile contro il narcotraffico e le multinazionali minerarie che devastano il territorio, sono tantissime le vicende che l’hanno visto protagonista. Ramazzini non si tira mai indietro quando si tratta di testimoniare la "Buona Novella". E di proteggere i troppi dimenticati del Guatemala che la Chiesa gli ha affidato. Le costanti minacce di morte, i lunghi anni sotto scorta, i complotti per ucciderlo, le false notizie diffuse per screditarlo non l’hanno mai fatto arretrare di un passo. Don Álvaro continua a camminare. Fedele al sogno affermato nella sua prima omelia a Huehuetenango: «Che nessuno sia lasciato indietro, che tutti andiamo avanti come un popolo che vuole veramente un avvenire differente per la generazione futura»
Lucia Capuzzi, Avvenire, 28/09/2013

D.Sangalli-A.Corradi
IN CAMMINO CON I MIEI POVERI. Monsignor Ramazzini: un vescovo in Guatemala
Paoline. Pagine 172. Euro 12,50

giovedì 19 settembre 2013

791 - RIGOBERTA MENCHÚ NON ESCLUDE NUOVA CANDIDATURA A PRESIDENTE DEL GUATEMALA

Prima donna indigena a ricevere il Premio Nobel per la Pace nel 1992, la guatemalteca Rigoberta Menchú Tum , non conferma né nega che possa ancora essere candidata per la presidenza del suo paese. 
In un'intervista al quotidiano argentino Página 12, in occasione della sua partecipazione al Forum internazionale per i diritti delle donne, svoltosi la scorsa settimana a Buenos Aires, alla domanda su una possibile candidatura, ha sottolineato solo l'importanza dei suoi due tentativi , nel 2007 e nel 2011 , per aprire lo spazio per le donne in politica.
"Quello che ho sempre fatto nella vita è stato aprire un varco e io sono completamente soddisfatta di aver aperto una porta per le donne in Guatemala , non importa la loro appartenenza etnica o istruzione superiore . Quando mi sono candidata per la presidenza nel 2007, nessuna donna era disposta , non c’erano nemmeno candidate a sindaco, il massimo che una donna poteva aspirare era di essere candidata deputata, ma in genere sono state collocate nelle liste in posizioni secondarie, senza alcuna possibilità di essere elette. Allora, con molta umiltà, in una campagna elettorale diseguale , con un partito appena nato , senza strutture né risorse”, ha detto la attivista dei diritti umani . Nelle due candidature , ha ricevuto poco più del 3 % dei voti .
Rigoberta ha fondato insieme al marito, il partito Winaq, con il quale si è candidata la seconda volta. Nel 2007, è stata candidata per un ampio fronte chiamato Encuentro por Guatemala . Secondo lei , Winaq interrompe la dicotomia sinistra / destra e punta verso direzioni diverse , puntando su equità etnica, di genere, generazionale, e per la propria organizzazione. "Facciamo una campagna non comperata né venduta, nella quale le persone hanno fiducia".
In poco più di due anni di esistenza , il Winaq ha già rappresentanza al Congresso. Attualmente , Rigoberta si occupa delle relazioni internazionali del partito, che lavora sui temi della trasparenza, della lotta contro l'impunità e, soprattutto, la questione fiscale: " l'impunità nella corruzione nella gestione delle risorse pubbliche , il monitoraggio e tutoraggio dei popoli indigeni a non cadere nella corruzione , perché molte delle nostre istanze Maya, essendo intoccabili , permettono di agire così ... A volte , vi è una certa complicità, allora abbiamo deciso di interrompere con quel circolo vizioso”.
L’indigena di origine Maya, il cui padre , Vicente Menchú Perez era un militante contadino, e la madre , Juana Tum Kotoja , un'ostetrica popolare nella comunità di El Quiché , in Uspatán , dice che vorrebbe scrivere libri che presentano le sue memorie , i fondamenti etici della lotta indigena e antichi insegnamenti del suo popolo. A metà degli anni 1980, Elisabeth Burgos ha scritto, basato su interviste a Rigoberta , il libro autobiografico "Mi chiamo Rigoberta Menchu e così è nata la mia coscienza”. La popolarità del libro le avrebbe facilitato l’assegnazione del Nobel e alcune domande su la veridicità delle storie. La situazione economica e la militanza sociale della sua famiglia sarebbero state modificate per dare un quadro di povertà che non corrispondeva con la verità.
La verità è che Rigoberta ha perso il padre e la madre, che sono stati uccisi durante la guerra civile del Guatemala, che è durato 36 anni (1960-1996), e due dei suoi fratelli sono ancora dispersi . Nel 1980, andò in esilio in Messico, dove ha condotto la sua lotta per i diritti umani. Lei crede che la più grande eredità lasciata da lei e da altri attivisti hanno portato alla fine del conflitto armato interno . Tuttavia, è ancora necessario recuperare la dignità delle persone, vittime di abusi violenze . "Allora, la dignità di tutti noi, la verità delle vittime e di tutti i guatemaltechi , è una fase molto difficile. L'impunità continua anche oggi . Non credo che questa situazione duri pochi decenni, perché i figli di coloro che hanno commesso il genocidio non hanno intenzione di ammetterlo".
Rigoberta spera che i guatemaltechi si assumano le loro responsabilità individuali al momento del voto.
Adital , 18/09/2013

790 - RIGOBERTA MENCHÚ NO DESCARTA NUEVA CANDIDATURA A LA PRESIDENCIA DE GUATEMALA

Primera mujer indígena en recibir el Premio Nobel de la Paz, en 1992, la guatemalteca Rigoberta Menchú Tum, no confirma ni niega que pueda volver a ser candidata a la Presidencia de la República de su país. En entrevista con el diario argentino Página 12, debido a su participación en el Forum Internacional por los Derechos de las Mujeres, realizado la última semana en Buenos Aires, cuando se le preguntó sobre una posible candidatura, ella sólo destacó la importancia de sus dos intentos, en 2007 y 2011, para abrir el espacio de las mujeres a la política.
"Lo que siempre hice en la vida fue abrir una brecha y estoy completamente satisfecha en haber abierto una puerta para las mujeres en Guatemala, no importa su etnia ni su educación elevada. Cuando yo me lancé a la candidatura presidencial, en 2007, ninguna mujer estaba dispuesta, ni siquiera había candidatas a alcaldes, lo máximo que una mujer podía aspirar era ser candidata a diputada, pero normalmente eran colocadas en las listas en lugares inferiores sin posibilidades. Entonces, salimos con mucha humildad, en una campaña desigual, con un partido recién nacido, sin estructuras, ni recursos”, observó la activista por los derechos humanos. En los dos intentos, ella recibió poco más del 3% de los votos.
Rigoberta fundó conjuntamente con su marido, el partido Winaq, con el que disputó su segunda elección. En 2007, fue candidata por un frente amplio llamado Encuentro por Guatemala. Según ella, el Winaq rompe con la dicotomía izquierda/ derecha y se lanza en direcciones diversas, apuntando a la equidad étnica, de género, generacional y hacia una organización propia. "Hacemos una campaña no comprada, ni vendida, en la que las personas confíen”.
En poco más de dos años de fundación, el Winaq ya tiene representación en el Congreso. Actualmente, Rigoberta ocupa la función de relaciones internacionales del partido, que trabaja sobre temas como la transparencia, el combate a la impunidad y, sobre todo, la cuestión fiscal: "la impunidad en la corrupción en el manejo de los recursos públicos; la vigilancia y la asesoría de los pueblos indígenas para que tampoco caigan en la corrupción, porque muchas de nuestras instancias mayas, por ser intocables, permiten actuar así... A veces, hay cierta complicidad, entonces, decidimos romper con esos círculos”.
La indígena de ascendencia maya, cuyo padre, Vicente Menchú Pérez, fue un militante campesino, y la madre, Juana Tum Kótoja, una conocida partera en la comunidad El Quiché, en Uspatán, afirma que le gustaría escribir libros que den cuenta de sus memorias, los fundamentos éticos de la lucha indígena y también las enseñanzas ancestrales de su pueblo. A mediados de la década de 1980, Elisabeth Burgos escribió, a partir de entrevistas con Rigoberta, el libro autobiográfico "Me llamo Rigoberta Menchú y así me nació la conciencia”. La popularidad del libro le habría facilitado el acceso al Nobel y algunos cuestionamientos sobre la veracidad de los relatos. La situación económica y la militancia social de su familia habrían sido alteradas para dar una imagen de pobreza que no condecía con la verdad.
La verdad es que Rigoberta perdió a su padre y madre, que fueron asesinados durante la guerra civil de Guatemala, que duró 36 años, de 1960 a 1996, y dos de sus hermanos continúan desaparecidos. En los años 1980, tuvo que exiliarse en México, desde donde condujo su lucha por los derechos humanos. Ella cree que el mayor legado dejado por ella y otros activistas permitió el fin del conflicto armado interno. Sin embargo, todavía es preciso recuperar la dignidad de las personas, de las víctimas de abuso de violencias. "Entonces, la dignificación de todos nosotros, por la verdad de las víctimas y de todos los guatemaltecos, es una etapa muy difícil. Inclusive hoy la impunidad continúa. No creo que esta situación dure pocas décadas, porque los hijos de los perpetuadores del genocidio nunca van a reconocerlo”.
Rigoberta espera que los guatemaltecos asuman su responsabilidad individual a la hora de votar.
Adital, 18/09/2013