Benvenuti nel blog “Orizzonte Guatemala”! Siamo un gruppo di amici del Guatemala e con questo strumento di comunicazione e condivisione vogliamo contribuire a fare conoscere l’attualità di questo bellissimo paese, al quale ci legano vincoli di amicizia e di solidarietà con tanti amici guatemaltechi.


venerdì 30 aprile 2010

117 - MORTI VIOLENTE IN AUMENTO DURANTE LA PRESIDENZA DI COLOM

Il numero di morti violente registrato in Guatemala è aumentato durante il mandato dell’attuale presidente Alvaro Colom, eletto nel 2008. Secondo un dossier reso pubblico dal Grupo de Apoyo Mutuo (GAM), che ha monitorato la quantità di morti violente avvenute nei primi due anni e tre mesi degli ultimi due governi, e la differenza tra le statistiche dei due periodi è di oltre duemila e ottocento morti.
Il GAM ha preso in considerazione i periodi dei governi compresi tra gli anni 2004 e 2006 per l’ex presidente Oscar Berger, e 2008 e 2010 per Colom. Nel governo di Berger si registrarono 5.336 morti violente, mentre durante il governo di Colom già sono 8.149 casi. Solo nei primi tre mesi del 2010 si sono avuti 905 morti violente. 
Lo studio segnala anche che la sensazione di impunità è aumentata nella società guatemalteca, e che oggi è più difficile avere fiducia nelle autorità incaricate di garantire la sicurezza. Il clima di impunità è cresciuto dal 98% al 99,5% nei primi 27 mesi del governo Colom.
Secondo quanto pubblicato dal GAM in un documento di presentazione del dossier, i dati divulgati riflettono la “vulnerabilità nella quale vive il popolo guatemalteco”. I ricercatori del GAM attribuiscono gli alti indici registrati al scarso sviluppo di attività contro la violenza e all’assenza di politiche di sicurezza.
Il GAM ha anche sottolineato l’opzione di Colom di favorire il militarismo, con il graduale incremento del stanziamento destinato all’esercito, a svantaggio della Polizia Nazionale Civile (PNC), i cui lavoratori ricevono attualmente i salari più bassi dell’amministrazione pubblica e lavorano in condizioni precarie. “E’ importante migliorare la condizioni di lavoro della Polizia Nazionale Civile, per evitare che l’istituzione continui a indebolirsi”.
Inoltre, i ricercatori sottolineano la necessità di attribuire i uffici pubblici a candidati “idonei e capaci di realizzare cambiamenti significativi all’interno di ogni istituzione statale” e l’elezione del nuovo Procuratore della Repubblica “elemento chiave per l’eliminazione della violenza, dell’impunità che vi è nel paese”.
Adital, 23.04.10

116 - NÚMERO DE MUERTES VIOLENTAS AUMENTÓ DURANTE GOBIERNO DE ÁLVARO COLOM

El número de muertes violentas registradas en Guatemala aumentó durante el mandato del actual presidente Álvaro Colom, electo en 2008. Según un informe divulgado por el Grupo de Apoyo Mutuo (GAM), que monitoreó la cantidad de muertes violentas ocurridas en los primeros dos años y tres meses de los dos últimos gobiernos, la diferencia entre las estadísticas de los dos mandatos es de más de dos mil ochocientas muertes.
El GAM tomó en consideración los períodos de gobierno comprendidos entre los años 2004 a 2006, para el ex-presidente Óscar Berger, y 2008 a 2010, para Colom. En el gobierno de Berger se registraron 5.336 muertes violentas, mientras que el gobierno de Colom ya cuenta con 8.159 casos del mismo tipo. Sólo en los tres primeros meses de 2010 se contabilizaron 905 muertes.
La investigación también señala que la sensación de impunidad aumentó para la sociedad guatemalteca, y que hoy es más difícil confiar en las autoridades encargadas de garantizar la seguridad. El clima de impunidad creció del 98% al 99,5%, durante los primeros 27 meses del gobierno de Colom.
De acuerdo con la carta publicada por el GAM, en ocasión del lanzamiento del informe, los datos divulgados reflejan "la vulnerabilidad en que se encuentra el pueblo guatemalteco". Los investigadores del Grupo atribuyen los altos índices registrados al débil desarrollo de actividades contra la violencia y a la ausencia de políticas de seguridad.
El Grupo también citó la opción de Colom para favorecer el militarismo, con gradual incremento del presupuesto destinado al ejército, en detrimento de la Policía Nacional Civil (PNC), cuyos empleados actualmente reciben los salarios más bajos de la administración pública y trabajan en condiciones precarias. "Es importante mejorar las condiciones de trabajo de la PNC, para evitar que la institución continúe debilitándose".
Además, los investigadores destacaron la necesidad de atribuir los cargos públicos a empleados "idóneos y capaces de realizar cambios significativos dentro de cada institución estatal", y la elección de un nuevo Fiscal General, "pieza clave para la eliminación de la violencia y la impunidad que sucede en el país".
Adital, 23/04/2010

mercoledì 28 aprile 2010

115 - LA VITA E LA PACE SONO POSSIBILI SE C’E’ GIUSTIZIA

La Diocesi di San Marcos vuole ricordare una volta ancora il crimine commesso contro Juan Josè Gerardi Conedera, vescovo identificato pienamente con la lotta per la pace e la giustizia; difensore infaticabile della vita e dei diritti fondamentali della persona umana e promotore risoluto dell’attività pastorale della Chiesa cattolica.
Questa commemorazione la facciamo ogni anno, per mantenere viva la memoria del suo esempio e della sua testimonianza, nella certezza che “Chi crede in Cristo, anche se muore, vivrà per sempre”.
Il vescovo Gerardi ha associato il suo ministero episcopale al mistero pasquale di Gesù Cristo, e ha camminato con il suo popolo lungo il sentiero della persecuzione, delle torture, delle sparizioni, dell’esilio, della morte, dei cimiteri clandestini, delle esumazioni. Si è sempre sforzato di seminare i semi della vita per ottenere un raccolto abbondante nella realizzazione di una società giusta e pacifica. È stato fedele alla missione affidata e realizzata dal Signore quando disse: “Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Gv. 10,10).
Dodici anni dopo l’assassinio di Monsignor Gerardi non dobbiamo dimenticare i 36 anni di guerra che ha sofferto il nostro paese, con la catena crudele e disumana di massacri, violazioni, torture e sequestri, azioni repressive che hanno generato terrore e paura nella popolazione e hanno disgregato ogni forma di organizzazione sociale e politica. In queste vicende, la chiesa cattolica ha sofferto molto.
Sfortunatamente nell’attualità la storia si ripete. Sono cambiate le circostanze ma non lo sfondo.
Le comunità e i leader impegnati per costruire un Guatemala differente, dove vi sia giustizia e benessere per tutti, soffrono molestie, persecuzioni, sono oggetto di critiche, attacchi verbali e scritti. Nella nostra regione vari leader difensori dei diritti delle loro comunità sono stati vilmente assassinati. Stiamo aspettando i risultati delle indagini perché la loro morte non rimanga impunita.
Secondo il dossier “Guatemala Mai Più”, nell’epoca del conflitto armato interno, furono molte le vittime che persero la vita (circa 200.000).  Nella situazione attuale, senza essere in guerra, ci scontriamo con una violenza senza volto che si manifesta in differenti forme.
Secondo i dati nell’anno 2008 ci sono stati 6244 omicidi, che sono aumentati a 6498 nel 2009; negli anni 2000 - 2010 inizia a rafforzarsi il riciclaggio del denaro, l’attività dei sicari, il crimine organizzato, la diffusione della droga e la sua produzione su grande scala, che converte il Guatemala in un paese favorevole per le attività diffuse del narcotraffico.
Ha riflettere che, ad oggi, i problemi che hanno causato il conflitto armato ancora non siano stati risolti, perché sono problemi strutturali derivati da un sistema neoliberale che genera condizioni di diseguaglianza e di mancanza di rispetto della vita come: povertà (75% della popolazione), violenza, ingiustizia, impunità, razzismo, concentrazione della terra nelle mani di settori minoritari, mancanza di servizi di base adeguati e accessibili per la popolazione intera.
La maggior parte della popolazione e le organizzazioni sociali lottano per ottenere la tanto desiderata pace. Senza dubbio vi sono dei gruppi di potere preoccupati e che cercano unicamente di creare le condizioni necessarie perché in Guatemala si mantenga il potere dei diritti individuali a scapito del bene comune, cosa che genera più esclusione ed emarginazione, aggrava il razzismo e produce attacchi contro alcuni difensore dei diritti umani, particolarmente contro i diritti dei popoli indigeni, in relazione al territorio e allo sfruttamento delle risorse naturali. Lo Stato, tutelato da un sistema legale che privilegia in modo assoluto il diritto alla proprietà privata dimenticando la sua funzione sociale, consente l’uso del territorio per progetti economici che vanno a beneficio solo delle minoranze privilegiate di questo paese, dimostrato dalle 459 concessioni (259 di sfruttamento, 136 di esplorazione mineraria e 64 progetti idroelettrici). Ancora si dimentica il bene della persona e delle comunità radicate nel loro ambiente, per dare il primo posto al lucro e al guadagno. 
Di fronte a questo scenario brevemente descritto, la Diocesi di San Marcos, nel quadro della commemorazione del dodicesimo anniversario dell’assassinio di Mons. Juan Josè Gerardi Conedera, a nome delle comunità che hanno sofferto e coerentemente con la scelta preferenziale per i poveri e gli esclusi, chiede:
AGLI ORGANI DELLO STATO GUATEMALTECO
a)       di continuare le indagini per individuare chi furono gli autori intellettuali dell’assassinio del Vescovo Gerardi e di altri leader;
b)      dichiarare ingiusti quei contratti tra lo stato guatemalteco e le imprese multinazionali o nazionali che cercano il proprio profitto e non dimostrano interesse per la cura dell’ambiente e il rispetto delle richieste delle popolazioni danneggiate da questi accordi;
c)       promuovere nei centri educativi la conoscenza della storia autentica del nostro paese, specialmente degli anni recenti come lezione di vita per le attuali e le future generazioni;
d)      promuovere la cultura della pace e il rispetto della vita;
e)       applicare la giustizia per combattere l’impunità, appoggiando le iniziative della CICIG;
f)        assicurare una vita degna alle famiglie contadine mediante l’approvazione della Legge sullo Sviluppo Rurale  con il consenso delle organizzazioni contadine.

ESORTIAMO LA POPOLAZIONE IN GENERALE:
a)       a sviluppare una maggiore sensibilità di fronte alla problematica sociale, abbandonando l’indifferenza e l’individualismo;
b)       ricordare il passato per imparare da esso, ed evitare la storia di dolore e si sofferenza che il paese ha vissuto;
c)       A non perdere la speranza di un futuro migliore, confidando nella presenza di Gesù Risorto, che ci dona la sua pace.
Vogliamo terminare questo comunicato con il saluto pasquale del Signore Gesù Cristo: la pace sia con voi!

Mons. Alvaro Leonel Ramazzini Imeri
Vescovo di San Marcos

martedì 27 aprile 2010

114 - "LA VIDA Y LA PAZ SON POSIBLES CON JUSTICIA”

La Diócesis de San Marcos, quiere recordar una vez más, el crimen cometido contra Juan José Gerardi Conedera, obispo identificado plenamente con la lucha por la paz y la justicia; defensor incansable de la vida y de los derechos fundamentales de la persona humana e impulsor decidido de la labor pastoral de la Iglesia Católica.
Este recuerdo lo hace cada año para mantener viva la memoria de su ejemplo y testimonio, en la certeza que "Quien cree en Cristo, aunque muera vivirá para siempre”.
El obispo Gerardi, asoció su ministerio episcopal al misterio Pascual de Jesucristo, y caminó con su pueblo el camino de la persecución, las torturas, la desaparición, el exilio, la muerte, los cementerios clandestinos, las exhumaciones. Se esforzó por sembrar semillas de vida para lograr una cosecha abundante en la realización de una sociedad justa y pacífica. Fue fiel a la misión encomendada y cumplida por el Señor cuando dijo: "Yo he venido para que tengan vida y la tengan en abundancia" (San Juan cap. 10,10)
Doce años después del asesinato contra Monseñor Gerardi, no debemos olvidar los 36 años de guerra que sufrió nuestro país, con la cadena cruel e inhumana de masacres, violaciones, torturas y secuestros; acciones represivas que generaron temor y miedo en la población y desarticularon de todo tipo de organización social y política. En esta historia la Iglesia católica sufrió grandemente.
Lastimosamente, en la actualidad, la historia se repite. Han cambiado las circunstancias pero no el fondo. Comunidades y líderes empeñados en construir una Guatemala diferente, en justicia y bienestar para todos y todas, sufren hostigamientos, persecuciones, son objeto de críticas, ataques verbales y escritos. En nuestra región varios líderes defensores de los derechos de sus comunidades han sido vilmente asesinados. Estamos a la espera de los resultados de las investigaciones para que su muerte no quede en la impunidad.
Según el informe "Guatemala Nunca Más", durante la época de! Conflicto Armado Interno, fueron muchas las victimas que perdieron la vida (200,000 aproximadamente). En la situación actual, sin estar en guerra, nos enfrentamos a una violencia sin rostro manifestada en diferentes formas. Según datos obtenidos en el año 2008 hubo 6244 homicidios, aumentando a 6498 en el 2009; del 2000 a 2010 comienza a fortalecerse el lavado de dinero, el sicariato, el crimen organizado, la socialización de fa droga y su producción a mayor escala, que convierte a Guatemala en un país propicio para e! negocio global del narcotráfico.
Es cuestionante que a la fecha, los problemas que provocaron el enfrentamíento armado, aún no hayan sido resueltos, porque son problemas estructurales derivados de un sistema neoliberal que genera condiciones de desigualdad y de irrespeto a la vida como: pobreza (75% de la población), violencia, injusticia, impunidad, racismo, concentración de la tierra en sectores minoritarios y falta de servicios básicos adecuados y accesibles a la población entera.
La mayoría de la población y las organizaciones sociales luchamos, por lograr la tan ansiada paz. Sin embargo hay grupos de poder preocupados y enfocados únicamente en crear las condiciones necesarias para que en Guatemala se mantenga el poder del derecho individual sobre bien común, lo cual genera más exclusión y marginación, agudiza el racismo y produce ataques contra algunos defensores de los Derechos Humanos, particularmente de los derechos de los pueblos Indígenas, relacionados con el territorio y la explotación de los recursos naturales. El Estado, amparado en un sistema legal que privilegia de modo absoluto el derecho a la propiedad privada olvidando su función social permite el uso de los territorios para proyectos económicos que benefician a las minorías privilegiadas de este país, hecho demostrado en las 459 concesiones (259 de explotación, 136 de exploración, de minerales y 64 proyectos hidroeléctricos). De nuevo se olvida el bien de la persona y de las comunidades enraizadas en su entorno ambiental, por darle el primer lugar al lucro y a la ganancia.
Ante este escenario rápidamente descrito, la Diócesis de San Marcos, en el marco de la conmemoración del 12 aniversario del asesinato contra el obispo Juan José Gerardi Conedera, en nombre de las comunidades sufridas y en coherencia con la opción preferencial por los pobres y excluidos, demanda:
A LOS ORGANISMOS DEL ESTADO GUATEMALTECO:
a) Continuar con las investigaciones pertinentes para determinar quiénes fueron los autores intelectuales del asesinato contra el Obispo Juan Gerardi y otros líderes.
b) Declarar injustos aquellos contratos entre el Estado guatemalteco y las empresas transnacionales o empresas nacionales que buscan el enriquecimiento propio y no muestran interés por el cuidado del medio ambiente y el respeto a las demandas de las poblaciones afectadas por dichos negocios.
c) Promover en los centros educativos el conocimiento de la historia verdadera de nuestro país, especialmente la de los años recientes como lección para ¡a vida de las presentes y futuras generaciones.
d) Promover la cultura de la paz y el respeto a la vida.
e) Aplicar la justicia para combatir la impunidad, apoyando las iniciativas de la CICIG.
f) Asegurar una vida digna para las fámulas campesinas al aprobar la Ley de Desarrollo Rural consensuada por las organizaciones campesinas.

EXHORTAMOS A LA POBLACIÓN EN GENERAL:
a) A desarrollar una mayor sensibilidad frente a la problemática social saliendo de la indiferencia y del individualismo.
b) A recordar el pasado para aprender del mismo y evitar la historia de dolor y sufrimiento que el país ha vivido.
c) A no perder la esperanza de un futuro mejor, confiados en la presencia de jesús Resucitado, que nos da su paz.
Queremos terminar este comunicado con el saludo pascual del Señor Jesucristo: “!La Paz esté con ustedes!”

Monseñor Alvaro Leonel Ramazzini Imeri
Obispo de San Marcos

domenica 25 aprile 2010

113 - RICORDANDO MONSIGNOR GERARDI

QUALE È LA TUA VERITÀ, POPOLO DEL GUATEMALA?
Ponzio Pilato chiese a Gesù: Che cosa è la verità? La classica domanda opportunista del funzionario romano, rappresentante di un impero che cercava una uscita per non riconoscere la viltà di fronte alla pressione della dirigenza giudaica nel processo che si svolgeva contro Gesù. Per questo, la conclusione di questo processo non era da meravigliarsi : “si lavò le mani”.
Juan Gerardi, vescovo ausiliare di Guatemala, prima vescovo diocesano di Verapaz e del Quichè, assassinato vigliaccamente dodici anni fa, ha osato chiedere la popolo del Guatemala: Quale è la tua verità, popolo oppresso e umiliato, schernito e disprezzato, assassinato e fatto scomparire, dopo 36 anni di una guerra fratricida, sangiunosa e crudele?
Juan Gerardi non era un funzionario, e nemmeno il rappresentante di un impero. Era un pastore sensibile al dolore del suo gregge, sentinella intelligente che intravedeva il futuro di queste terre, con il cuore plasmato dalla tristezza e dall’ingiustizia dei popoli che egli serviva, sia nella Verapaz che in Quichè.
La sua anima di bambino era stata profondamente colpita da tutto quello che vedeva e sentiva, constatava e sperimentava nei suoi viaggi pastorali, nei suoi incontri con la gente impoverita, discriminata per la condizione indigena, abbandonata alla propria sorte, dimenticata.
Fece quella domanda per trovare una risposta che sanasse le ferite, desse sollievo alle profonde sofferenze dell’anima del popolo guatemalteco, aprisse il cammino per dare dignità alle vittime del conflitto armato e permettesse agli assassini di riconoscere le loro colpe e chiedere perdono a coloro che avevano sofferto. Solamente in questo contesto si poteva raggiungere una pace stabile e duratura come la chiedevano fortemente i negoziatori degli Accordi di pace.
A questa domanda ci fu una doppia risposta: il progetto “Recupero della memoria storica”, in quattro volumi “Guatemala Mai più” e l’assassinio del Vescovo.
Sfortunatamente non si è voluto capire nè l’opera nè la persona di Juan Gerardi. Vogliamo solo lavarci le mani?
(Mons.Alvaro Ramazzini Imeri, vescovo di San Marcos)

* * *

MONS. GERARDI DODICI ANNI DOPO
Ricordo Mons. Gerardi per i laboratori del REHMI. Avevo dovuto coordinare tutto il lavoro del Recupero della Memoria Storica del Quichè, assistevamo ai laboratori, che erano parte della metodologia che ha permesso di realizzare questo processo. Erano sessioni di lavoro tecnico, ma anche spazi di dialogo e discussione interna su temi difficili e intensi sulle differenti realtà che riguardavano REMHI. Mons. Gerardi partecipava, come uno tra tutti ,agli incontri ai quali era necessario. Impressionava la sua acutezza nel’analizzare le situazioni, la serenità nel trattare argomenti complicati, l’onestà di collocarsi di fronte ai fatti e di fronte alla storia. Senza dubbio si può considerare come un pastore provato come l’oro nel fuoco della sofferenza. La sua vita si può comprendere solamente a partire dalla vita di Cristo in lui.
Il nucleo centrale della sua vita si inquadra come Vescovo del Quichè, perchè il centro della sua missione, il tempo d’oro della sua vita, è stata la missione che ha realizzato in questa Diocesi, in un tempo di passione e fermento per i problemi socio politici ed economici dell’America Latina, un continente caratterizzato dall’ingiustizia.
Sebbene si sia generata una nube oscura intorno alla sua vita, alla sua missione e la sua morte, per occultare ciò che la sua azione pastorale ci aveva rivelato sulla realtà di atrocità e morti crudeli, sui crimini che sono stati commessi contro migliaia di guatemaltechi, la sua vita è carica di segni del Vangelo, il suo corpo segnato con le piaghe della passione di Cristo.
Il progetto del Recupero della Memoria Storica, che ha proposto ai suoi confratelli vescovi, è stato l’ultimo compito, il culmine della sua missione, per la quale è stato sacrificato dai poteri di morte installati in Guatemala, con l’aiuto soprattutto di paesi come gli Stati Uniti, che in quel periodo della storia, hanno finanziato e armato coloro che tolto la vita a migliaia di vittime indifese, che hanno bagnato con il loro sangue la terra guatemalteca.
Ma Monsignor Gerardi è più di quello che è stato scritto su di lui, un umanista la cui sensibilità per le sofferenze del prossimo lo ha spinto ad impegnarsi a comprendere la realtà guatemalteca, origine di una sofferenza storica ancora persistente fino ad oggi.
Tra le molte cose che ha fatto, il maggior servizio a favore della vita è stato quello di promuovere lo sviluppo della raccolta di dati e l’analisi della realtà storica del Guatemala, che ha evidenziato l’esistenza e il modus operandi delle strutture del crimine organizzato responsabili di tante morti. Se queste strutture non sono state smantellate e portate in giudizio, si deve al fatto che non c’è stata la volontà, per differenti ragioni o interessi, da parte degli organismi corrispondenti.
Ci ha lasciato una eredità coraggiosa, e ora aspettiamo una nuova figura che con il modo di agire di questo caro pastore e vescovo, Martire della verità, possa guidare la tappa seguente, quella che permetta al paese di abbandonare la follia della morte e del crimine verso la tanto desiderata pace.
Che questa pace armata, che costruirono coloro che la patteggiarono, possa essere trasformata in vera pace per tutti coloro che la desideriamo e la meritiamo.
(Padre Rigoberto Perez Garrido, El Quiché, Guatemala).

112 - RECORDANDO A MONSEÑOR GERARDI ...

CUAL ES TU VERDAD PUEBLO DE GUATEMALA?
Poncio Pilato le preguntó a Jesús: Qué es la verdad? La clásica pregunta oportunista del funcionario romano, representante de un imperio, que buscaba una salida para no reconocer su cobardía delante de la presión de la dirigencia judía en el proceso que se llevaba contra Jesús. Por ello la conclusión de este hecho no era de admirarse: “se lavó las manos”.
Juan Gerardi , obispo auxiliar de Guatemala, en otros tiempos obispo diocesano de la Verapaz y del Quiché, asesinado cobardemente hará ya 12 años se atrevió a preguntarle al pueblo de Guatemala: Cuál es tu verdad, pueblo sufrido y humillado, escarnecido y vilipendiado, asesinado y desaparecido, después de 36 años de una guerra fratricida, sangrienta y cruel?
Juan Gerardi no era ningún funcionario ni representante de un imperio. Era un Pastor sensible al dolor de sus ovejas, atalaya inteligente que vislumbraba el futuro de estas tierras, con el corazón moldeado por la tristeza y la injusticia de los pueblos a los que él servía, en la Verapaz, en el Quiché. Su alma de niño grande había sido profundamente tocada por todo lo que veía y oía, palpaba y experimentaba en sus correrías pastorales, en su encuentro con la gente empobrecida, discriminada por su condición indígena, abandonada a su suerte, olvidada.
Hizo la pregunta para encontrar una respuesta que sanara las heridas, desahogara los hondos sufrimientos del alma del pueblo guatemalteco, abriera el camino para una dignificación de las víctimas del conflicto armado y permitiera a los victimarios reconocer sus perversiones y pedir perdón a quienes habían sufrir. Solamente en este contexto se podría lograr una paz firme y duradera como lo voceaban fuertemente los negociadores de los Acuerdos de Paz.
A esta pregunta hubo una doble respuesta: El proyecto “Recuperación de la memoria histórica”, en sus cuatro volúmenes “Guatemala Nunca Más” y el asesinato del Obispo.
Desgraciadamente no se ha querido entender ni la obra ni la persona de Juan Gerardi. Queremos solamente lavarnos la smanos?
(Monseñor Alvaro Ramazzini Imeri, Obispo de San Marcos)

*****

MONSEÑOR GERARDI 12 AÑOS DESPUES
Yo recuerdo a Monseñor Gerardi por los talleres de Remhi. Habiéndome correspondido coordinar todo lo que fue el trabajo de la Recuperación de la Memoria Histórica del Quiché, asistíamos a talleres que eran parte de la metodología que permitió realizar ese proceso. Eran talleres de trabajo técnico, pero también espacios de diálogo y discusión interna de temas difíciles e intensos sobre las distintas realidades que tocaba Remhi. Monseñor Gerardi asistía como uno mas en los encuentros a los que fuera necesario. Impresionaba su agudeza para analizar las situaciones, la serenidad para tratar contenidos escabrosos y la honestidad para colocarse frente a los hechos y frente a la historia. Sin duda se le puede ver como un pastor acrisolado como el oro en el fuego del sufrimiento. Su vida solo se puede comprender desde la vida de Cristo en El.
El núcleo central de su vida se ubica como Obispo en el Quiché, porque el centro de su misión, el tiempo de oro de su vida, fue la misión que realizó en esta Diócesis en un tiempo de fuego y efervescencia de problemas sociopolíticos y económicos en Latinoamérica, un continente marcado por la injusticia.
Aunque se generó un nube oscura en torno a su vida, su misión, y en torno a su muerte, para ocultar lo que su acción pastoral nos reveló sobre la realidad de atrocidades y muerte ignomiosa, de crímenes que se cometieron que contra miles de guatemaltecos, su vida está llena de los signos del Evangelio, su cuerpo marcado con las llagas de la pasión de Cristo.
El proyecto de la Recuperación de la Memoria histórica que propuso a su hermanos los obispos fue la ultima tarea, la tarea cúlmen de su misión por la que lo sacrificaron los poderes de la muerte instalados en Guatemala con la ayuda sobre todo de países como Estados Unidos que en aquel periodo de la historia, financiaron y armaron a quienes arracaron la vida a miles de víctimas indefensas que regaron con su sangre la tierra guatemalteca.
Pero Monseñor Gerardi, es mas de lo que se ha escrito de El, un humanista cuya sensibilidad al sufrimiento del prójimo le hizo comprometerse a desentrañar las realidades guatemaltecas, origen de un sufrimiento histórico persistente hasta la actualidad.
Dentro de lo mucho que hizo, el mayor servicio a favor de la vida, fue promover el desarrollo de la recolección de datos y el análisis de la realidad histórica de Guatemala que evidenció la existencia, y el modus operandi de las estructuras del crimen responsables de tanta muerte. Si estas estructuras no han sido desmanteladas y enjuiciadas se debe a que no ha habido voluntad por diversas razones o intereses, de parte de los organismos correspondientes.
Hay un legado heroico que nos ha dejado, y ahora solo esperamos una nueva figura que con el talante de este querido pastor y obispo, Mártir de la verdad, pueda encabezar la siguiente etapa que permita que este país salga de la locura de la muerte y el crímen a la tan ansiada paz. Que esta paz armada que construyeron los que la pactaron, pueda ser transformada en verdadera paz para todos los que la ansiamos y la merecemos.
(Padre Rigoberto Perez Garrido, El Quiché, Guatemala).

111 - MONSIGNOR GERARDI MARTIRE DELLA VERITA’ - 12° ANNIVERSARIO DEL SUO ASSASSINIO


Vogliamo contribuire alla costruzione di un paese differente. Per questo abbiamo recuperato la memoria del popolo. Questo cammino è stato e continua ad essere pieno di rischi, ma la costruzione del Regno di Dio comporta rischi e sono suoi artefici solo coloro che hanno la forza di impegnarsi.
Il lavoro di REMHI (Recupero della Memoria Storica) è stato un’opera straordinaria di conoscenza, di approfondimento e di appropriazione della nostra storia personale e collettiva. E’ stata una porta aperta perché le persone potessero respirare e parlare con libertà, per la creazione di comunità che vivano la speranza.
E’ possibile la pace, una pace che nasce dalla verità di ognuno e di tutti. Una verità dolorosa, memoria delle piaghe profonde e sanguinose del paese, verità che rende persona e che libera, che fa in modo che ogni uomo e donna ritrovi se stesso e assuma la propria storia; verità che ci sfida tutti perché riconosciamo la responsabilità individuale e collettiva e ci impegniamo perché questi fatti odiosi non tornino a ripetersi.
(discorso di Mons. Gerardi per la presentazione del Rapporto REMHI, 24 aprile 1998) 

110 - MONSEÑOR GERARDI MARTIR DE LA VERDAD - XII ANIVERSARIO DE SU ASESINATO

Queremos contribuir a la construcción de un país distinto. Por eso recuperamos la memoria del pueblo. Este camino estuvo y sigue estando lleno de riesgos, pero la construcción del Reino de Dios  tiene riesgos y sólo sono sus constructores quello que tienen fuerza para ententarlos.
El trabajo de REMHI ha sido una empresa asombrosa de conocimento,profundización y apropriación de nuestra historia personal y colectiva.  Ha sido una puerta abierta para que las personas respiren y hablen en libertad, para la creación de comunidades con esperanza. Es posible la paz, una paz que nace de la verdad de cada uno y de todos. Verdad dolorosa, memoria de las llagas profundas y sangrientas del país, verdad personificante y liberadora que posibilita que todo hombre y mujer se encuentre consigo mismo y asuma su historia ; verdad que a todos nos desafía para que reconozcamos la responsabilitad individual y colectiva y nos comprometamos a que esos abominables hechos no vuelvan a repetirse.
(discurso de Monseñor Juan Gerardi con ocasión de la presentación del informe REMHI, 24 abril 1998).

sabato 24 aprile 2010

109 - MIGRAZIONI, DONNE E FAMIGLIA: IL COSTO UMANO E SOCIALE DELLA MIGRAZIONE INTERNAZIONALE

In una società che genera emigranti, come quella del Guatemala (un milione e mezzo negli USA), il numero di famiglie interessate dal fenomeno migratorio è alto, secondo il dossier della OIM (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni) sulle rimesse e l’ambiente, il 22,5% di coloro che inviano denaro dagli USA sono mariti o mogli, e questo indica l’alto livello di persone che si fanno carico della famiglia, dei quali la maggior parte sono donne. Un’alta percentuale sono i figli (14,1%), il 6% sono genitori, e il 1,2% sono persone non legate da vincoli familiari.
I processi migratori generano dei cambiamenti che colpiscono la configurazione della famiglia in modo temporaneo o definitivo, modificando le interazioni tra i membri, i processi di comunicazione e socializzazione, i ruoli, le responsabilità e le autorità, modificando i vincoli affettivi e sociali sia per le famiglie che si adattano all’esperienza migratoria negli Stati Uniti, sia con le famiglie nucleari, che rimangono nel paese, o con le famiglie allargate, che entrano in relazione o si distanziano sulla base delle circostanze che riguardano il fenomeno migratorio.
La maggior parte delle migrazioni riguardano gli uomini, e questo fa sì che molte donne rimangano a farsi carico della famiglia, cosa che si traduce nella mancanza di protezione, in alcuni casi nell’abbandono, in altri casi ci sono differenti forme di dominazione, e in generale un sovraccarico di responsabilità che devono assumersi le donne. Le migrazioni internazionali causano anche dei cambiamenti nelle dinamiche familiari, dato che i figli ne sono danneggiati, perché crescono senza il riferimento della figura paterna. 
Le parole di Rigoberta Menchù illustrano meglio quanto detto sopra quando afferma che “il maggior numero di vedove si registra a causa dell’immigrazione” (La Hora, 2/10/2008), cioè, parafrasando la Menchù, che in Guatemala ci sono più “vedove” in tempo di pace che in tempo di guerra, perché i loro mariti sono andati negli USA e la maggior parte continua ad aspettare o ignora la data del ritorno.
Le donne che sono rimaste in Guatemala si fanno carico della cura dei figli, di inviarli a scuola, della cura della casa e del terreno, delle coltivazioni e del raccolto, nelle famiglie contadine dell’Altopiano nel periodo della raccolta della canna da zucchero nella costa Sud. Il sovraccarico della figura materna implica un conseguente aumento dello stress e della depressione delle donne. Anche se non sono protagoniste delle migrazioni, soffrono le conseguenze di questo processo globale e locale.
D’altra parte, la migrazione degli uomini che lasciano le loro mogli, ha incrementato la partecipazione comunitaria delle donne, cioè esse ora formano parte di organizzazioni locali ed è rilevante la crescente partecipazione delle donne nella leadership comunitaria. Sono anche sorprendenti le storie di quelle donne che “approfittando del fatto che lo sposo non ci sia, fanno un grande sforzo per continuare gli studi” o formano parte della dirigenza di squadre di football. Rappresentano forse una luce in un panorama in gran parte grigio. 
Mesa Nacional para las Migraciones (Menamig), Álvaro Caballeros, Adital, 12/04/10

108 - MIGRACION, MUJERES Y FAMILIA: EL COSTO HUMANO Y SOCIAL DE LA MIGRACION INTERNACIONAL

En una sociedad expulsora de emigrantes como Guatemala, (un millón y medio en EE.UU.) la cantidad de familias afectadas por la migración, es alta, según el informe de OIM sobre remesas y medio ambiente, 22.5% de quienes envían recursos desde Estados Unidos son esposos o esposas, lo que indica el alto nivel de personas que se quedan a cargo del hogar, de los cuales la mayoría son mujeres. Otro alto porcentaje son hijos 14.1%, 6% son padres y madres y el 1.2% a personas no parientes.
Los procesos migratorios generan cambios que afectan la configuración familiar en forma temporal o definitiva, alterando las interacciones entre sus miembros, los procesos de comunicación y socialización, los roles, las responsabilidades y la autoridad, modificando los vínculos afectivos y sociales, tanto para las familias que se conformaron de la experiencia migratoria en Estados Unidos, como a las familias nucleares que se quedan y a las familias extensas, que cada vez más se alejan o acercan, dependiendo de las circunstancias que rodean el proceso migratorio.
La mayor parte de migraciones son protagonizadas por hombres, lo que provoca que muchas mujeres se queden a cargo del hogar y la familia que regularmente se traduce en una situación de desprotección, en algunos casos de abandono, en otros bajo distintas formas de dominación y en general en una sobrecarga de responsabilidades que asumen las mujeres. También la migración internacional provoca cambios en las dinámicas familiares ya que los hijos también se ven afectados por crecer sin el referente paterno.
Las palabras de la Dra. Rigoberta Menchú, ilustran mejor lo anterior al señalar que "el mayor número de viudas se registra a causa de la inmigración" (La Hora 2/10/08), es decir, parafraseando a Menchú, que en Guatemala hay más "viudas" en tiempos de paz, que en tiempos de guerra, porque sus esposos se fueron a Estados Unidos y la mayoría sigue esperando o ignorando el retorno.
Las mujeres que se quedan en Guatemala se hacen cargo del cuidado de los hijos, de enviarlos a la escuela, del cuidado de la casa y del terrenito, del cuidado de las siembras y de la cosecha en las familias campesinas del Altiplano en época de zafra en la Costa Sur. La sobrecarga de la figura materna implica un consiguiente aumento del estrés y depresión de la mujer. Aunque no son protagonistas de las migraciones sufren las consecuencias este proceso global y local.
Pero por otro lado la migración de hombres que dejan a las mujeres, ha fomentado la participación comunitaria de éstas, es decir ahora forman parte de las organizaciones locales y es notable la creciente participación de las mujeres en el liderazgo comunitario. También son sorprendentes las historias de aquellas mujeres, que "aprovechando que el esposo no está, hacen un gran esfuerzo por continuar sus estudios", o forman parte en la dirigencia de equipos y campeonatos de Futbol. Quizá sea una luz ante un panorama predominantemente gris.
Mesa Nacional para las Migraciones (Menamig), por Álvaro Caballeros, Adital, 12/04/10

martedì 20 aprile 2010

107 - LA DISCRIMINAZIONE E’ UN REATO

Nonostante le modifiche del Codice Penale, agli indigeni poveri mancano ancora i mezzi per portare in giudizio i casi di discriminazione. Per due anni, Marta, 43 anni, indigena maya kaqchikel analfabeta, ha lavorato come domestica e ha ricevuto maltrattamenti dai suoi datori di lavoro.
La famiglia non indigena per la quale ha lavorato a San Lucas Sacatepéquez, a 35 chilometri da Città del Guatemala, la obbligava a dormire in una capanna di legno, senza porte, tra attrezzi e catini piene di biancheria sporca, racconta Marta, che ha chiesto di cambiare il suo nome per paura di rappresaglie da parte dei suoi datori di lavoro.
Le hanno proibito di utilizzare i servizi igienici della famiglia, ed è stata obbligata a lavarsi nel cortile, dice Marta, originaria del dipartimento centro occidentale di Totonicapán.
Inoltre, il padrone di casa si rivolgeva a lei regolarmente con abusi verbali. “Non servi a nulla, sei sporca, lavati, devi ringraziare per la possibilità che la famiglia ti dà di avere una entrata economica”, erano alcune delle espressioni che era costretta ad ascoltare ogni giorno.
Dopo aver lasciato il lavoro lo scorso anno, Marta ha deciso di chiedere aiuto l’Ufficio per la Difesa della Donna Indigena (DEMI), istanza governativa dedicata a difendere i diritti delle donne indigene.
Oltre il 40% dei 14 milioni di guatemaltechi si considerano indigeni, anche se alcuni esperti ritengono che la percentuale possa salire al 60%.
Secondo Azucena Socoy, avvocato della DEMI, questi casi raramente vengono denunciati perché si considera “normale” che le lavoratrici domestiche indigene siano obbligate dai loro datori di lavoro a non indossare i loro vestiti tradizionali, a parlare spagnolo e a soffrire abusi e umiliazioni.
Nell’ottobre del 2002 il Congresso ha aggiunto un nuovo articolo al Codice Penale, che qualifica come reato le differenti forme di discriminazione, compreso il razzismo.
“Si intenderà come discriminazione qualsiasi distinzione, esclusione, restrizione o preferenza basata su motivi di genere, razza, etnia, idioma, età, religione, situazione economica, infermità, incapacità, stato civile, o qualunque altro motivo, ragione o circostanza che impedisca o renda difficile a una persona o a un gruppo o associazione, l’esercizio di un diritto previsto per legge. Compreso il diritto consuetudinario o la consuetudine, in conformità con la Costituzione Politica della Repubblica del Guatemala e i Trattati Internazionali in materia di diritti umani”, recita l’articolo 202 del Codice Penale.
Ma la discriminazione è comune nella vita quotidiana della popolazione indigena del Guatemala.
“Il regolamento del Codice Penale al momento non consente di provare molti dei reati”, sostiene Dilia Palacios, titolare della Commissione Presidenziale contro la Discriminazione e il Razzismo (CODISRA).
Il sistema giudiziario richiede prove del fatto che le vittime sono state oggetto di abusi razzisti, come la dichiarazione di testimoni, cosa che è molto difficile da ottenere, in casi come quelli di Marta e di altre lavoratrici domestiche.
“In primo luogo bisogna convincere il Pubblico Ministero che è stato commesso un reato e che deve essere aperta una indagine. La discriminazione deve essere provata; altrimenti le autorità dicono che è semplicemente un “problema” che deve essere risolto per mezzo della conciliazione”, ha precisato Xiomara Vásquez, consulente legale di CODISRA.
In casi come quello di Marta, difficilmente le vittime ottengono le prove o le testimonianze, e ciò rende impossibile portare in giudizio chi ha commesso quelle azioni. “Ci sarebbe bisogno di un registratore, una cinepresa, o un video che permettesse di avere la certezza di ciò che qualcuno ha detto o ha fatto. Diventa molto difficile per la nostra cliente e per noi dimostrarlo”, ha detto Socoy. 
Un altro ostacolo perché i casi di discriminazione siano portati in giudizio è che devono essere vincolati ad un altro reato, dice, dato che il Pubblico Ministero non considera la discriminazione come una offesa grave.
Cristian Otzin, un altro consulente legale di CODISRA, aggiunge che la pena massima per il reato di discriminazione  è di tre anni di carcere.
Secondo Vásquez, i pochi casi che sono arrivati ai tribunali hanno richiesto l’intervento di esperti della cultura indigena – conosciuta come perizia culturale – che permette al giudice di comprendere il bagaglio culturale della vittima e l’importanza di alcune parole o azioni.
Senza dubbio, il costo di questo intervento peritale è all’incirca di 10.000 quetzales (1.200 dollari USA), costo di cui si deve fare carico il Pubblico Ministero, sebbene le autorità frequentemente si negano e demandano il pagamento alla vittima.  Considerando che il salario minimo in Guatemala è di 1.800 quetzales ($220) al mese, è praticamente impossibile che le vittime possano assumersi questo costo; per quello, nella maggior parte dei casi che sono arrivati in tribunale, le vittime hanno ottenuto aiuto finanziario e legale da parte di organizzazioni non governative per i diritti umani o da istanze governative come CODISRA.
“I meccanismi e le forme per valutare questo reato previsto dalla legislazione sono difficili; c’è bisogno di grandi sforzi”, ha affermato Socoy.
Secondo Palacios “c’è ancora bisogno di un lungo cammino per fare prendere coscienza del problema non solo alla società ma anche agli operatori giuridici perché siano sensibili di fonte a questo tipo di delitto”.
Senza dubbio, una serie di casi emblematici sono raggi di speranza per le vittime della discriminazione razziale come Marta.
Palacios cita due recenti casi che sono stati portati in tribunale con successo sulla base della legge contro la discriminazione con l’appoggio di CODISRA: quello di una lavoratrice che è stata obbligata a smettere di indossare il suo abito tradizionale maya quiche per vestire una uniforme e quello di una bambina in età scolara della città di Quetzaltenango, che è stata obbligata a non indossare i suoi abiti tradizionali per andare a scuola.
Secondo il politico maya Alvaro Pop, questi casi dimostrano che c’è ancora molto da fare perché si comprenda l’impatto della discriminazione e perché questo sia preso in considerazione dalle autorità, “quello che abbiamo ottenuto negli ultimi 20 anni nel complesso della riforma dello stato sul questo tema è molto di più di quanto è successo negli ultimi 200 anni”.
Louisa Reynolds, Noticias Aliadas, 08/04/2010

106 - DISCRIMINACIÓN ES DELITO

A pesar de cambios en Código Penal, indígenas pobres carecen de recursos para llevar a juicio casos de discriminación. Durantes dos años, Marta, de 43, indígena maya kaqchikel y analfabeta, trabajó como empleada del hogar y recibió maltratos de sus empleadores.
La familia no indígena para la que trabajaba en San Lucas Sacatepéquez, a unos 35 km de Ciudad de Guatemala, la obligaba a dormir en una choza de madera sin puertas, entre herramientas y cubetas llenas de ropa sucia, cuenta Marta, quien pidió cambiar su nombre por temor a represalias de sus empleadores.
Le prohibieron usar los servicios higiénicos de la familia y fue obligada a bañarse en el patio, dice Marta, originaria del departamento centrooccidental de Totonicapán.
Además, el dueño de la casa con regularidad cometía abuso verbal contra ella. “No servís para nada, sos una sucia, báñate, debes agradecer la oportunidad que te da la familia para tener un recurso económico”, eran algunos de los comentarios que ella tenía que escuchar diariamente.
Luego de dejar su empleo el año pasado, Marta decidió buscar ayuda de la Defensoría de la Mujer Indígena (DEMI), instancia gubernamental dedicada a defender los derechos de las mujeres indígenas.
Más de 40% de los 14 millones de guatemaltecos se consideran indígenas, aunque algunos expertos creen que el porcentaje podría llegar al 60%.
Según Azucena Socoy, abogada de la DEMI, tales casos raramente son denunciados porque se considera “normal” que las trabajadoras del hogar indígenas sean obligadas por sus empleadores a abandonar sus trajes tradicionales, hablar castellano y sufrir abusos y degradación.
En octubre del 2002, el Congreso agregó un nuevo artículo al Código Penal que califica como delito las diversas formas de discriminación, incluyendo el racismo.
“Se entenderá como discriminación toda distinción, exclusión, restricción o preferencia basada en motivos de género, raza, etnia, idioma, edad, religión, situación económica, enfermedad, discapacidad, estado civil, o en cualquier otro motivo, razón o circunstancia, que impidiera o dificultare a una persona o grupo de personas o asociaciones, el ejercicio de un derecho legalmente establecido. Incluyendo el derecho consuetudinario o costumbre, de conformidad con la Constitución Política de la República de Guatemala y los Tratados Internacionales en materia de derechos humanos (…)”, dice el artículo 202 del Código Penal.
Pero la discriminación es algo común en la vida diaria de la población indígena de Guatemala.
“El reglamento del Código Penal no alcanza al momento de probar muchos de los delitos”, dijo Dilia Palacios, titular de la Comisión Presidencial contra la Discriminación y el Racismo (CODISRA).
El sistema judicial demanda pruebas de que la víctima ha sido objeto de abusos racistas, tales como la declaración de testigos, lo que es sumamente difícil en casos como el de Marta y de otras trabajadoras del hogar.
“Primero, hay que convencer al Ministerio Público de que se ha cometido el delito y que debe abrirse una investigación. La discriminación debe ser probada; de otra manera las autoridades dicen que es simplemente un ‘problema’ que necesita ser resuelto por medio de la conciliación”, precisó Xiomara Vásquez, asesora legal de CODISRA.
En casos como el de Marta, difícilmente las víctimas obtienen la prueba o el testimonio, lo cual hace imposible llevar a los perpetradores a juicio. “Se requeriría de una grabadora, cámara o video que permitiera tener certeza de lo que alguien dijo o hizo. Se vuelve muy difícil para la usuaria y para nosotras demostrarlo”, indica Socoy.
Otro obstáculo para que los casos por discriminación sean judicializados es que deben estar vinculados a otro delito, dice, ya que el Ministerio Público no considera la discriminación como una ofensa grave.
Cristian Otzin, otro asesor legal de CODISRA, agrega que la pena máxima para el delito de discriminación es de tres años de cárcel.
Según Vásquez, los pocos casos que han llegado a los tribunales han requerido de la intervención de expertos en cultura indígena —conocida como “peritaje cultural”— que permite al juez comprender el bagaje cultural de la víctima y la importancia de ciertas palabras o acciones.
Sin embargo, el costo de esta intervención es por lo general de unos 10,000 quetzales (US$1,200), costo que debe ser asumido por el Ministerio Público, aunque las autoridades con frecuencia se niegan y demandan que la víctima pague ese costo. Considerando que el salario mínimo en Guatemala es de 1,800 ($220) quetzales al mes, es prácticamente imposible que la víctima pueda asumir ese costo; por eso, en la mayoría de los casos que llegaron a los tribunales, las víctimas han obtenido apoyo financiero y legal de organizaciones no gubernamentales de derechos humanos, o de una instancia gubernamental como CODISRA.
“Los mecanismos y las formas para resolver este delito que plantea la legislación son difíciles; requieren de gran esfuerzo”, manifestó Socoy.Según Palacios, “falta mucho para concientizar no sólo a la sociedad sino a los operadores de justicia para que sean sensibles ante ese tipo de delitos”.
Sin embargo, una serie de casos emblemáticos son una luz de esperanza para las víctimas de discriminación racial como Marta. Palacios cita dos recientes casos que fueron llevados a juicio con éxito bajo la ley contra la discriminación con apoyo de CODISRA: el de una trabajadora del hogar que fue obligada a abandonar su traje tradicional maya kiché y vestir uniforme, y el de una niña escolar de la ciudad suroccidental de Quetzaltenango, quien también fue obligada a dejar su atuendo indígena para asistir a la escuela.
Para el científico político maya Álvaro Pop, estos casos ilustran que aunque hay mucho por hacer para que se comprenda el impacto de la discriminación y sea tomado más en serio por las autoridades, “lo que se ha conseguido en los últimos 20 años en cuanto a la reforma del Estado sobre el tema, es mayor que lo que ocurrió en los pasados 200 años”.
Louisa Reynolds, Noticias Aliadas, 08/04/2010

domenica 18 aprile 2010

105 - DOSSIER SEGNALA VIOLENZE CONTRO SINDACALISTI TRA IL 2005 E IL 2010.

Nell’ultimo dossier reso pubblico dal Movimento Sindacale, Indigeno e Contadino Guatemalteco (MSICG), i numeri esprimono bene la situazione alla quale è esposto l’ esercizio dei diritti sindacali nel paese. Secondo questo studio, tra gennaio 2007 e gennaio 2010, sono stati 42 i sindacalisti assassinati. Di questi, 38 appartenevano al MSICG, gli altri quattro erano, secondo il documento, dirigenti sindacali e contadini.
“Gli atti di violenza e altre violazioni ai diritti umani legati all’esercizio delle libertà sindacali nel periodo compreso tra l’anno 2007 e gennaio 2010 hanno avuto un impatto quasi esclusivo (oltre il 90%) sulle organizzazioni che compongono il Movimento Sindacale, Indigeno e Contadino Guatemalteco (MSICG)” sottolinea.
Nonostante gli assassinii e le persecuzioni dei leader sindacali siano aumentati in Guatemala dopo il 2007, negli anni precedenti la situazione non era molto differente. Secondo il dossier, che si riferisce al periodo compreso tra il 2005 e gennaio 2007, nel gennaio 2005 si sono registrati 12 casi di violenza contro sindacalisti e difensori dei diritti sindacali. Nel 2006, ci sono state 13 azioni di intimidazione e minacce, mentre nel 2007 sono state 14.
A partire dal 2008, non solo i numeri, ma anche le modalità delle violenze sono cresciute. “Nell’anno 2008 ci sono stati 16 incidenti, le forme di violenza si sono ampliate verso forme di minaccia e intimidazioni, come detenzioni illegali, incursioni in sedi sindacali, aggressione e attacco alle residenze di dirigenti sindacali e soprusi”.
Inoltre le violazioni dei diritti sindacali in Guatemala, secondo il dossier del Movimento, sono fortemente caratterizzate dall’impunità. “Fino alla data di presentazione di questo dossier, in nessuno dei casi relazionati alla violenza antisindacale, non è stato identificato, processato né condannato nessuno degli autori materiali e intellettuali, per questo, si può dire che il 100% dei casi sono impuniti”.
Il dossier sottolinea inoltre che la maggior parte degli assassinii dei sindacalisti è avvenuto poco dopo l’inizio della realizzazione di attività finalizzate al compimento dei diritti del lavoro e dei diritti sindacali. Sottolinea anche che il 31% dei dirigenti uccisi apparteneva al settore pubblico – cioè erano dipendenti dello Stato guatemalteco – e che in almeno il 23% dei casi c’è stata la partecipazione delle forze di sicurezza dello Stato.
“E’ anche d’altronde preoccupante che, di fronte ai gravi fatti che coinvolgono una sistematica violazione dei diritti umani in funzione della limitazione delle condizioni per l’esercizio della libertà sindacale, lo Stato del Guatemala adotti una posizione che, lungi dall’essere ragionevole e alla ricerca di soluzioni, mira a screditare gli interlocutori sociali, e soprattutto che questo atteggiamento, nel quadro internazionale, si riveli pericolosamente correlato alla individuazione a livello nazionale della violenza e delle aggressioni contro il MSICG e le sue le organizzazioni che ne fanno parte”.
Adital, 9/04/2010

104 - INFORME DESTACA VIOLACIONES CONTRA SINDICALISTAS ENTRE 2005 Y 2010

En el último informe divulgado por el Movimiento Sindical, Indígena y Campesino Guatemalteco (MSICG) los números expresan bien la situación a la que está expuesta la práctica sindical en ese país. De acuerdo con el relevamiento, entre 2007 y enero de 2010, 42 sindicalistas fueron asesinados. De los cuales, 38 pertenecían al MSICG. Los otros cuatro, según el documento, eran dirigentes sindicales y campesinos.
"Los actos de violencia y demás violaciones a los derechos humanos vinculadas al ejercicio de la libertad sindical en el período comprendido entre el año de 2007 y enero de 2010 tuvo un impacto casi exclusivo (más del 90%) en las organizaciones que forman el Movimiento Sindical, Indígena y Campesino Guatemalteco (MSICG)", destaca.
A pesar de que los asesinatos y persecuciones a los líderes sindicales han empeorado en Guatemala después de 2007, en los años anteriores la situación no era muy diferente. Según el informe -referente al período comprendido entre 2005 y enero de 2007-, en 2005, se registran 12 casos de violencia contra sindicalistas y defensores de derechos humanos sindicales. En 2006, 13 acciones relacionadas con la intimidación y amenazas; y en 2007, 14.
A partir del 2008, no sólo los números, sino las formas de violencia también aumentaron. "Durante el año 2008, se produjeron 16 incidentes, se ampliaron las formas de violencia a otras formas además de amenazas e intimidaciones, tales como detenciones ilegales, invasiones de sedes sindicales, invasiones y ataques de residencias de dirigentes sindicales y persecuciones", afirma.
Además, las violaciones a los derechos sindicales en Guatemala, de acuerdo con el informe del Movimiento, están fuertemente marcadas por la impunidad. "Hasta la fecha de presentación de este informe, en ninguno de los casos relacionados con violencia antisindical citados, no fue definido, procesado ni sentenciado ninguno de los autores materiales e intelectuales, por lo tanto, se puede decir que el 100% de los casos se encuentran impunes", revela.
El informe destaca además que la mayoría de los asesinatos de sindicalistas ocurrió poco después del comienzo de la realización de actividades en busca del cumplimiento de los derechos laborales y sindicales. Resalta también que el 31% de los dirigentes muertos pertenecían al sector público -o sea, eran empleados del Estado guatemalteco- y que, en por lo menos el 23% de los casos, existió la participación de fuerzas de seguridad del Estado.
"Resulta por demás preocupante que, ante los graves hechos que involucran una violación sistemática de los derechos humanos en función de la limitación de las condiciones para el ejercicio de la libertad sindical, el Estado de Guatemala adopte una posición que, lejos de ser reflexiva y de búsqueda de soluciones, opte por la descalificación de los interlocutores sociales y, sobre todo, que tal actitud, en el marco internacional, resulte peligrosamente coincidente con la focalización a nivel nacional de la violencia y ataques contra el MSICG y sus organizaciones miembros", considera.
Adital 9/04/2010

giovedì 15 aprile 2010

103 - INTERVISTA A CARLOS CASTRESANA: LE ISTITUZIONI SONO SOPRA STRUTTURE CLANDESTINE

Carlos Castresana, capo della Commissione Internazionale contro la Impunità in Guatemala (Cicig), in una intervista ha assicurato che le istituzioni dello Stato per anni sono state fondate su strutture criminali, e questo fa si che si mantenga alto il livello di impunità nel paese. Ha anche affrontato il tema dell’elezione del Procuratore della Repubblica, la purificazione della Polizia e i risultati dei casi che ha analizzato.
- Come vede la situazione del Guatemala dopo tanti scandali nei quali compaiono funzionari legati alla corruzione?
R. E’ difficile costruire su strutture che sono tanto deteriorate dalla corruzione, nelle quali vi sono infiltrazioni di gruppi criminali, ma mi sembra che la campagna è legittima e merita di essere sostenuta. Abbiamo detto che sfortunatamente le strutture di governo si sono appoggiate sulla base di strutture clandestine.
- Come sono classificate queste strutture?
R. Ci sono due classi: una classe io la chiamo reti di gruppi interprofessionali, di settori che soddisfano i loro interessi e che mescolano la politica con i mezzi di comunicazione, le imprese, studi professionali e istituzioni. Poi vi è il settore di gruppi criminali che si specializzano in attività illegali come il traffico di droghe, di migranti, di bambini, di adozioni clandestine, la tratte delle bianche e il contrabbando, tra le altre cose.
- Quali sono le più potenti?
R. Quelle del primo gruppo sono molto più pericolose, più potenti, sono quelle che generano corruzione, sono quelle infiltrate nelle istituzioni del sistema di sicurezza, che sono attive in vari campi, imprese criminali che si spartiscono i criteri di divisione dei compiti e della gerarchie, e sono le più difficili da smantellare.
Vi sono anche enormi mafie dedicate alla vendita di bambini, e altre più piccole, con una casa di accoglienza dove cercano di  organizzare adozioni; alcune sono locali, altre nazionali e anche multinazionali.
- Avrà il tempo per smantellarle durante il suo mandato?
R. Stiamo lavorando per quello. Un esempio è il colpo all’interno della Polizia Nazionale (Civile) contro tutta la cupola, i cui membri si sono rafforzati con il traffico di droghe, il furto di droga e di denaro. Questo ha iniziato ad essere un segnale positivo, anche se è stato un enorme sconcerto per i guatemaltechi onesti, ma è un messaggio di speranza molto forte, dato che per la prima volta qualcuno è preparato. Non lo dico per la CICIG, ma per la Procura, la Polizia, i giudici che hanno il coraggio di fare fronte alla mafia e la stanno fronteggiando e stanno guardando negli occhi il mostro, questo non era avvenuto in precedenza.
- Metterete il veto a qualcuno dei candidati per la carica di procuratore della repubblica?
R. Individuiamo le persone che non sono idonee, che non sono oneste e che si trovano nella lista dei candidati, ma formano parte di quelle strutture clandestine che vogliono usurpare il potere legittimo delle istituzioni dello stato di diritto, della Corte Suprema di Giustizia, della Corte di Appello, della Difesa, e ora della Procura.
- Queste strutture sono le stesse che ha menzionato?
R. Non è solo un gruppo, sono differenti gruppi che obbediscono a settori di pressione, a posizioni  di potere di fatto che controllano le istituzioni. Secondo i dati messi a disposizione dal magistrato Cesar Barrientos, l’efficacia dell’organismo giudiziario sarebbe intorno allo 0,5%, cioè è una istituzione collassata al 99,5%. Riceve 11.000 denunce, delle quali riesce a sbrigarne appena 1.500, è una istituzione manipolata da forze potenti.
- Quali sono le principali sfide per il nuovo procuratore?
R. Deve dare risposte all’impunità, deve combattere efficacemente il delitto, rendere più efficienti le sue risorse (circa 2.300 magistrati), e deve depurare l’istituzione, che ha molte infiltrazioni di strutture clandestine. La depurazione effettuata a metà del 2008, con l’allontanamento del procuratore della repubblica e di alcuni pubblici ministeri, è stata solo la depurazione della punta dell’iceberg, ma il resto del corpo è rimasto uguale.
- Quanti sono coinvolti, chi sono?
R. Sono persone molto conosciute, che hanno beneficiato del Pubblico Ministero e che continuano a farlo anche ora. Sono parte di strutture clandestine contro le quali presto o tardi emetteremo procedimenti penali, abbiamo una questione pendente.
- Quando avete intenzione di presentare le osservazioni?
R. Cercheremo di utilizzare il tempo disponibile, per fare le indagini nella maniera migliore; non diremo quale è il migliore candidato o chi non va bene. Diremo chi, in nessuno modo, dovrebbe essere candidi dato.
- E’ d’accordo con la rielezione?
R. Non segnaliamo persone, non c’è nessun divieto di rielezione. Per questo il magistrato Velásquez è un candidato buono come tutti gli altri.
- Nel caso della Polizia, come avete lavorato per la depurazione?
R. Abbiamo iniziato nel 2008, in una situazione in cui era molto difficile lavorare, perché non vi erano precedenti. Vi era una completa impunità delle autorità. Con i ministri dell’Interno Vinicio Gomez e Francisco Jimènez, abbiamo collaborato per una depurazione di carattere amministrativo, nella quale sono stati allontanati il direttore e il suo vice dell’epoca. Poi è stato molto più difficile con il ministro Salvador Gándara, che abbiamo chiesto al presidente Colom di rimuovere. Ora abbiamo partecipato alla cattura di Baltazar Gómez, sapevamo che era colpevole già 15 giorni dopo essere stato promosso, ma abbiamo dovuto aspettare perché i processi penali hanno bisogno di prove.
- Alcuni criticano che in questo caso solo potete contare sui testimoni e non su prove scientifiche.
R. Se lei dice che non abbiamo intercettazioni telefoniche, è vero, ma abbiamo molte prove scientifiche.
- Parteciperà alla nomina del nuovo direttore della Polizia?
R. Tutte le informazioni in nostro possesso possono essere utilizzate per la nomina, anche se non possiamo usarle per azioni legali. Sono in grado di sapere che qualche commissario è coinvolto in una rete criminale; forse non posso provarlo in un tribunale, ma posso raccomandare al ministro che non lo nomini.
- Che cosa pensa delle critiche contro le azioni della Commissione?
R. Ci saranno passi avanti e passi indietro, ci saranno campagne diffamatorie, discredito, inquinamenti. Questo è il prezzo che bisogna pagare, e i guatemaltechi onesti non si lasciano ingannare da queste campagne che dicono che siamo coinvolti in questo o in quello, man mano che andremo avanti, si sentirà sempre più rumore. La gente sta vedendo cose che non si erano mai viste.
(Da Prensa Libre).
Coralia Orantes, Adital, 15/03/2010  

102 - ENTREVISTA A CARLOS CASTRESANA (CICIG): ‘INSTITUCIONES ESTÁN SOBRE ESTRUCTURAS CLANDESTINAS'

Carlos Castresana, jefe de la Comisión Internacional contra la Impunidad en Guatemala (Cicig), aseguró en una entrevista que las instituciones del Estado durante años se han cimentado en estructuras criminales, lo que hace que se mantenga alto el nivel de impunidad en el país. También abordó lo referente a la elección de fiscal general, la depuración de la Policía y los resultados de los casos que está investigando.
-¿Cómo ve la situación de Guatemala después de tantos escándalos donde aparecen funcionarios vinculados a la corrupción?
R: Es difícil construir sobre estructuras que están tan dañadas por la corrupción, que están infiltradas por los grupos criminales, pero me parece que la lucha es legítima y merece ser apoyada. Hemos dicho que lamentablemente las estructuras de gobierno se han mantenido sobre la base de estructuras clandestinas.
-¿Cómo están clasificadas esas estructuras?
R: Hay dos clases: a una yo le llamo redes de grupos intraprofesionales, de sectores que confluyen en sus intereses y que mezclan la política con medios de comunicación, empresas, despachos profesionales e instituciones. Luego está el sector de grupos de criminales que se especializan en actividades ilegales como tráfico de drogas, de migrantes, de niños, adopciones clandestinas, trata de blancas y contrabando, entre otros hechos.
-¿Cuáles son las más poderosas?
R: Las del primer grupo son mucho más peligrosas, mucho más poderosas, son las que generan desgobierno, son las que están infiltradas en las instituciones del sistema de seguridad, que son multiprofesionales, empresas criminales que manejan los criterios de división de tareas y de jerarquización, y las más difíciles de desmantelar.
También hay enormes mafias dedicadas a la venta de niños, y hay otras pequeñas, con una casa hogar donde procuran colocar adopciones; unas son locales; otras, nacionales, y también transnacionales.
-¿Le dará tiempo desmantelarlas durante su mandato?
R: Estamos en ello; un ejemplo es el golpe en la Policía Nacional (Civil) contra toda la cúpula, cuyos miembros se asentaron sobre el tráfico de drogas, sobre los tumbes (robos) de droga y dinero.
Esto empieza a ser una señal positiva, aunque resulte en un enorme trastorno para los guatemaltecos honrados, pero es un mensaje de esperanza muy grande, pues por primera vez alguien está dispuesto. No lo digo por la Cicig, sino por la Fiscalía, la Policía, los jueces que se están animando a hacerle frente a la mafia y le están plantando cara y están mirando a los ojos al monstruo; eso no se había producido antes.
-¿Van a vetar a alguno de los candidatos a fiscal general?
R: Buscamos a las personas que no son idóneas, que no son honorables y que están en la lista de candidatos, pero forman parte de esas estructuras clandestinas que quieren usurpar el poder legítimo de las instituciones del estado de Derecho, de la Corte Suprema de Justicia, de la Corte de Apelaciones, de la Defensa Pública y, ahora, de la Fiscalía.
-¿Estas estructuras son las mismas que ha mencionado?
R: No es un solo grupo, son distintos grupos que obedecen a sectores de presión, a posiciones de poderes fácticos que controlan las instituciones. Según datos ofrecidos por el magistrado César Barrientos, la eficacia del Organismo Judicial estaría sobre el 0.5 por ciento, de manera que es una institución colapsada en 99.5 por ciento. Recibe 11 mil acusaciones, de las cuales apenas puede despachar mil 500; es una institución manipulada por fuerzas poderosas.
-¿Cuáles son los principales retos para el nuevo fiscal?
R: Debe dar respuesta a la impunidad, tiene que combatir eficazmente el delito, eficientar sus recursos -unos dos mil 300 fiscales- y debe depurar la institución, que está muy infiltrada por esas estructuras clandestinas. La depuración efectuada a mediados del 2008, con la salida del fiscal general y unos cuantos fiscales jefes, fue solo la limpieza de la punta del iceberg, pues el resto de ese cuerpo sigue ahí.
-¿Cuántos están vinculados, quiénes son?
R: Son personas muy conocidas, que usufructuaron el Ministerio Público en el pasado y que lo siguen haciendo. Forman parte de las estructuras clandestinas contra las que tarde o temprano emitiremos acciones penales; tenemos una asignatura pendiente.
-¿Cuándo van a presentar las objeciones?
R: Procuraremos agotar el tiempo disponible, para hacer la mejor investigación posible; no vamos a decir quién es el mejor candidato ni quién es el malo. Vamos a decir quién, de ninguna manera, debería ser candidato.
-¿Está de acuerdo con la reelección?
R: No señalamos personas, no hay ninguna prohibición de reelección; de manera que el fiscal Velásquez es un candidato por lo menos tan bueno como todos los demás.
-En el caso de la Policía, ¿cómo han trabajado en la depuración?
R: Empezamos en el 2008 en una situación en que era muy difícil trabajar, porque no había precedentes; había una completa impunidad sobre las autoridades. Con los ministros de Gobernación (Vinicio) Gómez y (Francisco) Jiménez, los ayudamos a una depuración de carácter administrativo, en la que fueron apartados el director y subdirector de la época. Después fue mucho más difícil con el ministro (Salvador) Gándara, a quien nosotros le pedimos al presidente (Álvaro Colom) que lo removiera. Ahora participamos en la captura de Baltazar Gómez; sabíamos que era culpable a apenas 15 días de haber sido ascendido, pero lo tuvimos que guardar porque los procesos penales se maduran con pruebas.
-Algunos critican que en este caso solo tienen testimonios y no prueba científica.
R: Si usted dice que no tenemos escuchas telefónicas, es cierto, pero tenemos mucha prueba científica.
-¿Participará en el nombramiento del nuevo director de la Policía?
R: Toda la información que tenemos se puede utilizar para el nombramiento, aunque no podamos usarla para acciones judiciales. Puedo conocer que algún comisario está involucrado en una red criminal; quizá no pueda probarlo en un tribunal, pero sí puedo recomendarle al ministro que no lo nombre.
-¿Qué opina de las críticas contra las acciones efectuadas por la Comisión?
R: Va a haber pasos adelante y pasos atrás; va a haber campañas negras, descrédito e intoxicación. Ese es el pecio que hay que pagar, y los buenos guatemaltecos no se van a dejar engañar por esas campañas que dicen que estamos involucrados en esto o en aquello. Cuando más avancemos, más ruido van a escuchar. La gente está viendo cosas que no se habían visto.
(Publicado en Prensa Libre - prensalibre.com.gt )
Coralia Orantes, Adital, 15/03/2010  

martedì 13 aprile 2010

101 - DOSSIER DENUNCIA LA SITUAZIONE DELL’INFANZIA E DEGLI ADOLESCENTI

Violenze, abusi e sfruttamento. Queste sono alcune delle situazioni di cui sono vittime i bambini e gli adolescenti in Guatemala, denunciate dal rapporto del GAM (Gruppo di Mutuo Appoggio). Reso pubblico il giorno 6 aprile, il dossier sulla situazione dell’infanzia e dell’adolescenza in Guatemala si propone lo scopo di fare conoscere la realtà dei bambini e adolescenti che vivono nel paese centro americano.
L’intenzione del GAM è quella di fare in modo che il dossier contribuisca ad un miglioramento nella vita di bambini e adolescenti. “Speriamo che in un futuro immediato cambino le condizioni di vita di una grande percentuale di guatemaltechi e guatemalteche che, sono per il fatto di avere una determinata età o per non avere la protezione di un adulto, sono vittime permanenti di abusi, esclusione, sfruttamento, emarginazione” afferma il dossier.
Il documento mostra come l’infanzia e l’adolescenza non hanno un trattamento giusto nel paese. Secondo il GAM, ci sono poche leggi a beneficio di questa fascia della popolazione, che soffre ancora per la mancanza dell’applicazione delle leggi esistenti, e per la difficoltà dell’accesso ai servizi di base. La prova della gravità della situazione che vivono bambini e adolescenti del paese è la violenza. Secondo il dossier, solamente nei primi 75 giorni dell’anno, almeno sei bambine e due bambini sono stati assassinati in “modo brutale”. Questi crimini rimangono ancora impuniti, dato che, secondo il GAM, nessun responsabile di quelle morti è stato catturato.
Nel frattempo, i bambini guatemaltechi corrono il rischio di essere vittime non solamente di morti violente, ma anche di mancanza di cure. “Ma non è solo la morte violenta dei bambini che consideriamo deplorevole, lo è anche il modo in cui vengono assistiti e trattati a partire dalla loro nascita, fino a quando ci sia possibilità che questa difficile situazione migliori”, sottolinea.
Le statistiche non lasciano dubbi. Secondo il dossier, ogni 1.000 neonati nati vivi, 29 muoiono prima di arrivare al primo anno di vita, e 39 prima di compiere i cinque anni. Il problema non è grave solo per i bambini. Ogni mille nascite, 130 donne muoiono al momento del parto.
Il lavoro minorile è un’altra realtà che devono affrontare i bambini e gli adolescenti del paese. Oltre a impedire la loro istruzione, molti sono obbligati a realizzare attività degradanti. “Molti sono i casi di bambini e bambine che sono costretti a vivere al di fuori delle loro famiglie, obbligati a lavorare come domestici nelle proprietà terriere, facendo lavori disumani, per i quali non sono fisicamente preparati”, sottolinea il GAM.
Nonostante ciò, il GAM afferma che le autorità guatemalteche non hanno fatto nulla per migliorare questa realtà. “La risposta dello Stato è nulla, non c’è attenzione per l’infanzia, il budget è limitato, i bambini continuano ad essere obbligati a lavorare in condizioni deplorevoli, è notorio il modo in cui si utilizza la forza lavoro infantile nei laboratori, nelle industrie pirotecniche o, ogni volta con maggior pubblicità, in cose simili alla pornografia infantile, senza che vengano investigati fatti di questo tipo”, denuncia il GAM.
Karol Assunção, Adital 07.04.2010