Benvenuti nel blog “Orizzonte Guatemala”! Siamo un gruppo di amici del Guatemala e con questo strumento di comunicazione e condivisione vogliamo contribuire a fare conoscere l’attualità di questo bellissimo paese, al quale ci legano vincoli di amicizia e di solidarietà con tanti amici guatemaltechi.


giovedì 19 agosto 2010

233- ASSOCIAZIONI CHIEDONO FINE DELLA VIOLENZA CONTRO BAMBINI ED ADOLESCENTI

In media, 17 persone muoiono ogni giorno in modo violento in Guatemala, numero che fa del Guatemala uno dei paesi più violenti dell'America Latina. Assalti, assassini, sequestri ed incidenti di traffico sono solo alcune delle situazioni a cui i guatemaltechi sono esposti tutti i giorni. Neanche i bambini e gli adolescenti sono esenti della violenza. Solamente in quest’anno, almeno 321 bambini, bambine ed adolescenti, sono morti in modo violento nel paese.
La cifra è stata presentata in comunicato divulgato da quindici organizzazioni dedicate alla protezione dell'infanzia e dell’adolescenza lo scorso giorno 26 luglio. Nel documento le organizzazioni chiedono alle autorità e alla società guatemalteca, la fine dell'impunità e della violenza contro i bambini, bambine ed adolescenti nel paese.
"È urgente che i tre organismi dello Stato guatemalteco, attraverso le loro autorità, prendano misure immediate, effettive ed integrali per frenare questa ondata di violenza che colpisce tutta la cittadinanza, con azioni che proteggano il benessere e la vita, particolarmente dei bambini, bambine ed adolescenti, e che i crimini ed abusi commessi contro di essi siano indagati e processati secondo la legge".
La preoccupazione per bambini ed adolescenti nel contesto di violenza che vive il paese non è un'esagerazione. Non solo sono vittime le bambine e bambini assassinati o che subiscono qualche tipo di aggressione fisica, lo sono anche coloro che hanno perso i genitori a causa della situazione di violenza.
Secondo i dati dell'ufficio regionale per l’America Centrale e i Caraibi del Fondo delle Nazioni Unite per l'Infanzia (Unicef), dal 2002 al 2008, più di 31.992 persone sono morte, come conseguenza della violenza. Dietro quei numeri non ci sono solo uomini e donne, perché sono anche contemporaneamente genitori e madri di bambini che sono rimasti orfani.
Fino al giorno 26 luglio, le associazioni che proteggono l'infanzia e l'adolescenza hanno registrato la morte di 321 bambini ed adolescenti, deceduti in forma violenta quest’anno. Furono più di 300 minorenni di età, vittime di pallottole vaganti, pugnalate, strangolamenti ed incidenti di trasporto. I dati dell’Unicef hanno rivelato che almeno quattro bambini e bambine muoiono, ogni mese, a conseguenza di pallottole vaganti, e inoltre, vari rimangono feriti.
L'alto numero di morti di minori di 18 anni nel paese non si verifica solo per la situazione di insicurezza, ma anche per la mancanza di opportunità e di politiche pubbliche per quel settore della società. Abitualmente le notizie informano che bambini ed adolescenti poveri sono le maggiori vittime della violenza in Guatemala. Questo è dovuto alla mancanza di opportunità, finiscono vittime delle organizzazioni criminali che li attirano per realizzare vari tipi di delitti. Secondo statistiche della Polizia Nazionale Civile (PNC), divulgate da agenzie internazionali, fino ad aprile di quest’anno, più di 500 minori di età sono stati arrestati per assassinio, furti, e traffico di droghe.
Azioni contro la violenza
Il comunicato delle organizzazioni in difesa dell'infanzia e dell'adolescenza non è stata l'unica dichiarazione contro la violenza in Guatemala. Il giorno 15 luglio, Unicef e Fondazione Sopravvissuti hanno annunciato anche un'azione che va nello stesso senso. Le due entità hanno firmato un accordo per "Azioni di incidenza per la Riduzione dell'Impunità in Delitti contro l'Infanzia in Guatemala."
Tra i punti delle Azioni, sottolineano la lotta contro l'impunità ed la “Tolleranza Zero alla Violenza." Secondo informazioni dell’Unicef, l'idea è di incentivare strategie che "incidano sulla riduzione dell'impunità dei fatti criminali commessi contro bambine, bambini ed adolescenti."
Adital - 06.08.10

232 - ENTIDADES DEMANDAN FIN DE LA VIOLENCIA CONTRA NIÑOS Y ADOLESCENTES

En promedio, 17 personas murieron cada día de forma violenta en Guatemala, número que hace se convierta en uno de los países más violentos de América Latina. Asaltos, asesinatos, secuestros y accidentes de tránsito son apenas algunas de las situaciones a que guatemaltecos y guatemaltecas están expuestos todos los días. Ni siquiera los niños y adolescentes consiguen librarse de la violencia. Solamente en este año, al menos 321 niños, niñas y adolescentes, murieron de forma violenta en el país.
La cifra fue presentada en comunicado divulgado por 15 organizaciones de protección a la infancia y adolescencia el pasado día 26. En el documento las organizaciones demandan de las autoridades y de la sociedad guatemalteca, el fin de la impunidad y de la violencia contra los niños, niñas y adolescentes en el país.
"Es imperativo que los tres organismos del Estado guatemalteco, a través de sus autoridades, tomen medidas inmediatas, efectivas e integrales para frenar esta onda de violencia que afecta a toda la ciudadanía, con acciones que protejan el bien estar y la vida, particularmente de los niños, niñas y adolescentes, y que los crímenes y abusos cometidos contra ellos, sean investigados y procesados de acuerdo a la ley", consideraron.
La preocupación con los niños y adolescentes en el contexto de violencia que vive el país no es una exageración. No solo son víctimas las niñas y niños asesinados o que sufren algún tipo de agresión física, también lo son, aquellos que perdieron a sus padres por la situación de violencia.
Según informaciones de la oficina regional para América Central y Caribe del Fondo de las Naciones Unidas para la Infancia (Unicef), de 2002 al 2008, más de 31.992 personas murieron como producto de la violencia. Detrás de esos números no dolo están hombres y mujeres, son también, al mismo tiempo, padres y madres de niños que quedaron huérfanos.
Hasta el día 26 de julio, las entidades de protección a la infancia y la adolescencia contabilizaron 321 niños y adolescentes muertos en forma violenta este año. Fueron más de 300 menores de edad, víctimas de balas perdidas, puñaladas, estrangulamientos y accidentes de tránsito. Datos de Unicef revelaron que al menos cuatro niños y niñas mueren, cada mes, a consecuencia de balas perdidas, además, varios quedan heridos.
El alto número de muertes de menores de 18 años en el país, no se da solo por la situación de inseguridad, también por la falta de oportunidades y de políticas públicas para ese sector de la sociedad. Las noticias habitualmente informan que los niños y adolescentes pobres son las mayores víctimas de la violencia en Guatemala. Esto porque debido a la falta de oportunidades, terminan siendo blancos de las organizaciones criminales que los atraen para realizar varios tipos de delitos. Según estadísticas de la Policía Nacional Civil (PNC) divulgados por agencias internacionales, hasta abril de este año, más de 500 menores de edad habían sido detenidos por motivo de asesinatos, robos, y tráfico de drogas.
Acciones contra la violencia
El comunicado de las organizaciones defensoras de la infancia y de la adolescencia no fue la única declaración contra la violencia en Guatemala. El día 15 de julio, Unicef y la Fundación Sobrevivientes, también anunciaron una acción que va en el mismo sentido. Las dos entidades firmaron un acuerdo de "Acciones de incidencia para la Reducción de la Impunidad en Delitos contra la Infancia en Guatemala".
Entre los puntos de las Acciones, se destacan la lucha contra la impunidad y la "Tolerancia Cero a la Violencia". Según informaciones de Unicef, la idea es incentivar estrategias que "incidan en la reducción de la impunidad de los hechos delictivos cometidos contra niñas, niños y adolescentes".
Adital, 06/08/10

martedì 17 agosto 2010

231 - A PROPOSITO DEGLI ULTIMI EVENTI INTORNO AI PROGETTI MINERARI, IDROELETTRICI E PETROLIFERI

In alcune occasioni, la saggezza popolare esige di ricorrere ad un certo senso dell'umorismo. Dopo alcune settimane, come quelle che abbiamo vissuto, magari questa è una di quelle occasioni, di modo che immaginiamo il paese come una storiella formata da molteplici scene. Per esempio:
Prima scena.
Si apre il sipario e vediamo il presidente della repubblica, Álvaro Colom, dicendo che "la grande minaccia della Laguna del Tigre non è il petrolio, ma le vacche umane ed animali", allo stesso tempo militarizza il Petén per allontanare famiglie contadine e probabilmente anche i narco-allevatori. Dietro, vi sono i 180 milioni di dollari all’anno, che probabilmente lo Stato riceve da PERENCO. Sembra dunque che si può comprare la volontà del presidente con denaro. Tuttavia, Colom non ha detto una sola parola sull'offerta dei deputati tedeschi di creare un fedecommesso, che lasciasse la stessa quantità di denaro, ma senza toccare il petrolio e senza danneggiare la biosfera maya. Si chiude il sipario.
Seconda scena.
Si apre il sipario ed viene fuori la multinazionale canadese Goldcorp, comunicando guadagni record. Per la miniera Marlin in San Marcos, dalla sua apertura nel 2005 fino all'anno scorso (2009), la miniera ha generato 7.046 milioni di quetzales di guadagni, lasciando al paese l'irrisoria quantità di 70 milioni in regalie, l’1%, metà per lo Stato e metà per la municipalità, più 352 milioni di quetzales in imposte sul reddito. Quello che non si racconta con i numeri è che la miniera occupa terreni ottenuti ingiustamente, che ha iniziato ad operare senza il consenso delle comunità di San Miguel Ixtahuacán e di Sipacapa, e che si impegna a negare l'inquinamento ambientale nei fiumi e a danno delle persone. Neanche si racconta il rifiuto di Álvaro Colom, che fa in modo che lo Stato guatemalteco non ottemperi l'ordine della Commissione Interamericana di Diritti umani (CIDH) di sospendere le attività della miniera Marlin per le misure cautelari, cioè, per proteggere la vita dalle famiglie delle 18 comunità interessate. Si chiude il sipario.
Terza scena.
Si apre il sipario e vediamo un comunicato stampa da parte del CACIF, nel quale i grandi imprenditori mostrano la loro "preoccupazione" perché in Guatemala - essi dicono - "è soprattutto a rischio l'utilizzazione delle risorse naturali che generano sviluppo", per le "posizioni non conciliabili" che si stanno verificando intorno ai progetti minerari, idroelettrici e petroliferi. Sembra che gli imprenditori hanno paura che i loro investimenti non si trasformino in guadagni, a motivo dell'ogni volta maggiore resistenza da parte delle comunità indigene e contadine, e soprattutto poiché si sta incominciando a fare giurisprudenza sulla base dell'accordo 169, che stabilisce diritti collettivi dei popoli indigeni sul territorio, come la loro consultazione nei casi di qualunque iniziativa che attenti direttamente o indirettamente agli stessi. Si chiude il sipario.
Quarta scena.
Si apre il sipario e vediamo una marcia di contadini e contadine di San Marcos, membri del Consiglio dei Popoli dell’Occidente, insieme a monsignor Ramazzini e Rigoberta Menchú, insieme agli avvocati dei dipartimenti giuridici della Commissione Pace ed Ecologia (COPAE), della diocesi di San Marcos, dell'Ufficio di Diritti umani dell'Arcivescovato di Guatemala (ODHA), e della Fundación Rigoberta Menchú che si sono diretti alla Corte Suprema di Giustizia (CSJ), per presentare una accusa contro il presidente della stessa Erick Alfonso Álvarez Mancilla. In detta querela si accusa l'attuale presidente della Corte Suprema del delitto di "falsità ideologica" per avere dato tramite ad un titolo di proprietà suppletorio a nome dell'impresa Peridot, S. A., la quale poi ha dato i titoli all'impresa canadese Montana Exploradora, affinché implementasse la miniera Marlin, usurpando così parte del territorio Mam, debitamente iscritto nel Registro della Proprietà. Cominciando un nuovo capitolo nella storia delle lotte sociali in Guatemala, i contadini Mam di San Miguel Ixtahuacán dicono nuovamente NO AL SETTORE MINERARIO e sollecitano l’allontanamento di queste imprese, per occupazione illegale del territorio Mam. Si chiude il sipario.
Come si chiama l'opera? Presto o tardi, arriverà loro l’a buona ora ai popoli organizzati e la giustizia vedrà la luce. È solo questione di tempo. Oggi è il turno del presidente della Corte Suprema di Giustizia, domani potrà esserlo dello stesso Álvaro Colom o di qualunque dei suoi ministri e funzionari di governo. Presto o tardi, i paesi riusciranno a mandare vie le imprese, a recuperare i loro territori e, esercitando il loro diritto di autogoverno, a decidere il loro futuro.
Speriamo che la paura non accechi gli imprenditori e vogliano ritornare alle politiche di terra bruciata e del genocidio. Speriamo che gli impresari imparino a rispettare le comunità che vogliono la vita e la libertà alle quali hanno diritto, e che un'altra volta sono disposte a difendersi davanti all'attuale "ecocidio", genocidio ecologico, dei progetti minerari, idroelettrici e petroliferi.
Mario López, Avancso
Adital 05.08.10

230 - A PROPOSITO DE LOS ULTIMOS SUCESOS EN TORNO A LOS PROYECTOS MINEROS, HIDROELECTRICOS Y PETROLEROS

En ocasiones, la sabiduría popular nos exige recurrir a cierto sentido del humor. Después de unas semanas como las que hemos tenido, quizás ésta sea una de esas ocasiones, de tal manera que imaginemos el país como un chiste de múltiples escenas. Por ejemplo:
Primera escena.
Se abre el telón y vemos al presidente de la república, Álvaro Colom, diciendo que "la gran amenaza de la Laguna del Tigre no es el petróleo, sino las vacas humanas y animales", al mismo tiempo que militariza Petén para desalojar a familias campesinas y supuestamente también a narco-ganaderos. Detrás, están los 180 millones de dólares anuales que supuestamente el Estado va a recibir de PERENCO. Parece pues que con dinero se puede comprar la voluntad del mandatario. Sin embargo, Colom no dijo ni una sola palabra sobre el ofrecimiento de los diputados alemanes de crear un fideicomiso que dejara la misma cantidad de dinero pero sin tocar el petróleo y sin dañar la biosfera maya. Se cierra el telón.
Segunda escena.
Se abre el telón y sale la transnacional canadiense Goldcorp reportando ganancias récord. Para el caso de la mina Marlin en San Marcos, desde su apertura en el 2005 hasta el año pasado (2009), la mina ha generado 7,046 millones de quetzales de ganancias dejando al país la irrisoria cantidad de 70 millones en regalías (el 1%), mitad para el Estado y mitad para la municipalidad, más 352 millones de quetzales en ISR. Lo que no se cuenta en números es que la mina ocupa terrenos mal habidos, que ha estado operando sin el consentimiento de las comunidades de San Miguel Ixtahuacán y de Sipacapa, y que se empeña en negar la contaminación ambiental en afluentes y personas. Tampoco se cuenta la negativa de Álvaro Colom que hace que Estado guatemalteco incumpla la orden de la Comisión Interamericana de Derechos Humanos (CIDH) de suspender las actividades de la mina Marlin por medidas cautelares, es decir, para proteger la vida de las familias de las 18 comunidades afectadas. Se cierra el telón.
Tercera escena.
Se abre el telón y vemos un comunicado de prensa de parte del CACIF en el que los grandes empresarios muestran su "preocupación" porque en Guatemala -dicen ellos- "está en riesgo el aprovechamiento de los recursos naturales que generan desarrollo", sobre todo por las "posiciones irreconciliables" que se están dando en torno a los proyectos mineros, hidroeléctricos y petroleros. Parece ser que los empresarios tienen miedo que sus inversiones no resulten en ganancias, debido a la cada vez mayor resistencia por parte de las comunidades indígenas y campesinas, y sobre todo debido a que se está empezando a hacer jurisprudencia sobre la base del convenio 169 que dicta derechos colectivos de los pueblos indígenas sobre el territorio, así como su consulta ante cualquier iniciativa que atente directa o indirectamente a los mismos. Se cierra el telón.
Cuarta escena.
Se abre el telón y vemos una marcha de campesinos y campesinas de San Marcos, miembros del Consejo de Pueblos de Occidente, junto con monseñor Ramazzini y Rigoberta Menchú, así como con las y los abogados de los departamentos jurídicos de la Comisión Paz y Ecología (COPAE) de la diócesis de San Marcos, de la Oficina de Derechos Humanos del Arzobispado de Guatemala (ODHA) y de la Fundación Rigoberta Menchú, que se dirigen a la Corte Suprema de Justicia (CSJ) para presentar una querella en contra del presidente de la misma, Erick Alfonso Álvarez Mancilla. En dicha querella se acusa al actual presidente de la Corte Suprema por el delito de "falsedad ideológica" por haber dado trámite a una titulación supletoria a nombre de la empresa Peridot, S.A., quien luego diera los títulos a la empresa canadiense Montana Exploradora para que implementara la mina Marlin, usurpando así parte del territorio Mam, debidamente inscrito en el Registro de la Propiedad. Comenzando un nuevo capítulo en la historia de las luchas sociales en Guatemala, nuevamente las y los campesinos Mam de San Miguel Ixtahuacán dicen NO A LA MINERÍA y solicitan el desalojo de dichas empresas, por ocupación ilegal del territorio Mam. Se cierra el telón.
¿Cómo se llamó la obra? Tarde o temprano, les llegará la buena hora a los pueblos organizados y la justicia verá la luz. Es sólo cuestión de tiempo. Hoy es el turno del presidente de la Corte Suprema de Justicia, mañana podrá serlo del mismo Álvaro Colom o de cualquiera de sus ministros y funcionarios de gobierno. Tarde o temprano, los pueblos conseguirán desalojar a las empresas, recuperar sus territorios y, ejerciendo su derecho de autogobierno, decidir su futuro.
Esperemos que el miedo no ciegue a los empresarios y quieran regresar a las políticas de tierra arrasada y el genocidio. Esperemos que los empresarios aprendan a respetar que las comunidades quieren la vida y la libertad, que tienen todo el derecho de hacerlo, y que una vez más están dispuestas a defenderse ante el actual "ecocidio" (genocidio ecológico) de los proyectos mineros, hidroeléctricos y petroleros.
Por Mario López, Avancso
Adital 05.08.10

domenica 15 agosto 2010

229 - IN LUGLIO DEPORTATI TREMILA GUATEMALTECHI

L'incremento di persone deportate in Luglio ha superato per la prima volta il limite di tremila clandestini, secondo la Direzione Generale di Migrazione.
Fino al 28 luglio sono entrati in Guatemala 2.744 uomini e 339 donne deportati dagli USA, oltre a 62 minorenni di età, per un di 3.145 persone rimpatriate. Il mese scorso il numero è aumentato del 12% rispetto alle 2.804 persone che arrivarono al paese nel Luglio 2009.
Secondo Marila di Prinz, direttrice del Tavolo Nazionale per le Migrazioni (Menamig), la validità della Legge Arizona (SB1070), che è entrata in vigore il mese scorso ha avuto incidenza nella quantità di persone deportate, perché alcuni per paura si sono spostati da un stato ad un altro, e questo ha aumentato le detenzioni.
Esiste preoccupazione per l'indurimento della politica migratoria negli USA, perché si sono intensificate le catture e si è velocizzato il processo amministrativo per alcuni casi che erano in attesa di risoluzione, e che includono la deportazione come una sanzione, e inoltre ci sono controlli più stretti nella frontiera messicana, ha spiegato Ubaldo Villatoro, consulente del Consiglio Nazionale di Assistenza al Migrante del Guatemala.
Centro Estudios de Guatemala

228 - EN JULIO, FUERON DEPORTADOS 3 MIL GUATEMALTECOS

El incremento de personas deportadas durante julio superó por primera vez la barrera de 3 mil indocumentados, según la Dirección General de Migración.
Hasta el 28 de julio ingresaron a Guatemala 2 mil 744 hombres y 339 mujeres deportados desde EE.UU, además de 62 menores de edad, lo que suma un total de 3 mil 145 personas repatriadas. El mes pasado el número aumentó en 12 por ciento con respecto a las 2 mil 804 personas que llegaron al país en julio de 2009.
Según Marila de Prinz, directora de la Mesa Nacional para las Migraciones (Menamig), la vigencia de la Ley Arizona (SB1070) que cobró vigencia el mes pasado tuvo incidencia en la cantidad de personas deportadas, pues algunos por temor se movilizaron de un estado a otro, lo que aumentó las detenciones.
Existe preocupación por el endurecimiento de la política migratoria en EE.UU., pues se han intensificado las capturas y se ha agilizado el proceso administrativo para algunos casos que estaban pendientes de resolver y que incluyen la deportación como una medida sancionadora, además de que hay controles más estrictos en la frontera mexicana, explicó Ubaldo Villatoro, asesor del Consejo Nacional de Atención al Migrante de Guatemala.
Centro Estudios de Guatemala

venerdì 13 agosto 2010

227 - UN ALTRO CASO DI REPRESSIONE NEI CONFRONTI DELLE ORGANIZZAZIONI POPOLARI IN GUATEMALA

Il recente assassinio del sindacalista Bruno Figueroa richiama l'attenzione sull'ondata di repressione che sta diffondendosi in Guatemala, rispetto alla criminalizzazione e all’uccisione di dirigenti sindacali del paese. In reazione a ciò il Fronte Nazionale di lotta in Difesa dei Servizi Pubblici e Naturali esige che il governo intervenga e prenda le dovute misure.
Bruno Ernesto Figueroa, segretario delle Finanze della Filiale del SIAS, del Sindacato Nazionale di Lavoratori della Salute del Guatemala (SNTSG), è deceduto nel pomeriggio del 10 agosto, vittima di un violento attentato subito sabato 7 agosto, quando un gruppo di uomini armati lo ha avvicinato, sparando vari colpi e uccidendo cinque persone.
Nella stessa data, Miguel Ixcal, dirigente del CODECA - Associazione di Comitati di Sviluppo Contadino, fu sequestrato e minacciato di morte. Questi due casi si sommano all'ondata di violenza e persecuzione contro dirigenti popolari, che si sta diffondendo in Guatemala.
“È ora già che le autorità competenti facciano qualcosa a riguardo. Richiediamo, in maniera enfatica, l'intervento della CICIG (Commissione Internazionale contro l'Impunità in Guatemala), in quanto solamente nella misura in cui gli autori materiali ed intellettuali di tanti delitti siano affidati alla giustizia e siano giudicati, sarà possibile mettere fine all'impunità", ha sottolineato il Fronte Nazionale di lotta in Difesa dei Servizi Pubblici e Risorse Naturali.
Questa istituzione ricorda che nell’ottobre 2009 aveva già consegnato alla Commissione Internazionale, un elenco di uccisioni di dirigenti di organizzazioni popolari, affinché si realizzino indagini sui casi.
Adital - 11.08.10

226 - OTRO CASO DE REPRESIÓN A LAS ORGANIZACIONES POPULARES EN GUATEMALA

El reciente asesinato del sindicalista Bruno Figueroa llama la atención sobre la ola de represión que está desencadenándose en Guatemala, sobre todo en lo que respecta a la criminalización y al exterminio de dirigentes sindicales del país. En reacción, el Frente Nacional de lucha en Defensa de los Servicios Públicos y Naturales exigió que el gobierno interceda y tome las debidas medidas.
Bruno Ernesto Figueroa, secretario de Finanzas de la Subfilial del SIAS, del Sindicato Nacional de Trabajadores de la Salud de Guatemala (SNTSG), falleció en la tarde de ayer (10), víctima de un atentado violento que sufrió el último sábado (7), cuando un grupo de hombres armados lo abordó disparando varios tiros y dejando a cinco personas muertas.
En la misma fecha, Miguel Ixcal, dirigente del CODECA - Asociación de Comités de Desarrollo Campesino, también fue secuestrado y amenazado de muerte. Estos dos casos se suman a la ola de violencia y persecución contra dirigentes populares que viene teniendo lugar en Guatemala.
"Ya es hora de que las autoridades competentes hagan algo al respecto. Requerimos, de manera enfática, la intervención de la CICIG (Comisión Internacional contra la Impunidad en Guatemala), por cuanto solamente en la medida en que los autores materiales e intelectuales de tantos delitos se vean enfrentados a la justicia, sean juzgados, será posible ponerle fin a la impunidad", destacó el Frente Nacional de lucha en Defensa de los Servicios Públicos y Recursos Naturales.
La entidad recuerda que en octubre de 2009 ya había entregado a la Comisión Internacional, una lista de asesinatos de dirigentes de organizaciones populares, a fin de que se realicen investigaciones sobre los casos.
Adital - 11.08.10

giovedì 12 agosto 2010

225 - RIGOBERTA MENCHÚ, PREMIO NOBEL DELLA PACE, AFFERMA CHE RAZZISMO È UNA MALATTIA SOCIALE

Negli ultimi decenni, i popoli indigeni del Guatemala hanno ottenuto importanti progressi. Oggi sono più visibili, hanno ottenuto spazi per farsi ascoltare e perfino occupano più posti pubblici ed in aree accademiche o di investigazione.
Tuttavia, quegli avanzamenti possono sembrare insignificanti se si fa un esame della situazione critica in cui vive la maggioranza degli indigeni, cioè più della metà della popolazione guatemalteca.
Il razzismo e la discriminazione, la sproporzione tra il loro numero e la loro rappresentanza negli spazi politici ed istituzionali, l'accesso carente ai servizi basilari come salute ed educazione, nella propria lingua, e l'uso folcloristico dei loro elementi culturali sono ragioni perché che i popoli guatemaltechi commemorino il Giorno Internazionale dei Popoli Indigeni con un misto di allegria, diffidenza, speranza e la richiesta di politiche concrete.
"Il problema continua ad essere lo stesso, benché si sia iniziato a discutere trenta anni fa. Ci sono molte analisi e sono necessarie delle politiche, perché la discriminazione continua, anche se mascherata", afferma Rigoberta Menchú Tum, Premio Nobel della Pace 1992, riconoscimento che diede ai maya guatemaltechi visibilità nel mondo. Menchú considera il razzismo come "una malattia sociale" che persiste e che si è globalizzata.
Secondo l'ultima inchiesta effettuata da Vox Latina e dall'Organismo Naleb nel maggio del 2009, il 92% degli intervistati ha ammesso che c'è razzismo in Guatemala.
Alvaro Pop, politologo che partecipa attualmente al Foro Permanente delle Nazioni Unite per i Paesi Indigeni, espone: "Il razzismo in Guatemala è come l'alcolismo. Avere un parente alcolista non possiamo negarlo, è assolutamente ovvio, ma non lo vogliamo affrontare il problema."
Isabel Cipriano, dell'associazione di donne maya Moloj, afferma: "Il razzismo è a volte infermo. Le donne ed i popoli indigeni sono utilizzati solo come decorazione."
La discriminazione verso gli indigeni si evidenzia nel limitato accesso all'ambito politico, educativo, sanitario o di giustizia. "Collocano qualche indigeno nella sesta od ottava casella, nelle elezione dei deputati, per simulare inclusione", segnala Cipriano.
Rigoberta Menchú sostiene che il problema ha origine nella mancanza di un Stato davvero pluralista ed inclusivo: “Non c'è Stato in Guatemala per i popoli indigeni. Per esempio, se si va nell'area Ixil, lo Stato si riduce ad un rappresentante, e generalmente gli uffici più conosciuti sono i tribunali. La rappresentanza dello Stato si riconosce come castigatrice, non come armonizzatrice", precisa.
La limitazione di accesso avviene in uguale maniera negli organismi Esecutivo e Giudiziale, sono d’accordo  gli attivisti.
Nonostante tutto, Pop considera che esiste un avanzamento importante nella partecipazione politica dei popoli indigeni, che oggi stanno presenti in tutti i partiti politici e spazi locali. Nelle elezioni del 2007, di 333 municipi, 129 sono stati occupati da sindaci indigeni, e questo evidenzia che esiste partecipazione.
Guatemala, 08/08/2010 (PL)

224 - RIGOBERTA MENCHÚ, PREMIO NOBEL DE LA PAZ AFIRMA QUE RACISMO ES UNA ENFERMEDAD SOCIAL

En las últimas décadas, los pueblos indígenas de Guatemala han conseguido importantes avances. Hoy son más visibles, han generado espacios para hacerse escuchar e incluso ocupan más puestos públicos y en áreas académicas o de investigación.
Sin embargo, esos avances pueden parecer insignificantes si se hace un repaso de la situación crítica en que vive la mayoría de pobladores indígenas; más de la mitad de la población guatemalteca.
El racismo y la discriminación, la desproporción entre su número y su representación en espacios políticos e institucionales, el acceso deficiente a servicios básicos como salud y educación, en su idioma, y el uso folclorista de sus rasgos culturales son motivos de que los pueblos guatemaltecos conmemoren el Día Internacional de los Pueblos Indígenas con una mezcla de alegría, recelo, esperanza y la demanda de políticas concretas.
“El problema sigue intacto, aunque se empezó a discutir hace 30 años. Hay un sobrediagnóstico y hacen falta políticas, pues la discriminación sigue, aunque solapadamente”, afirma Rigoberta Menchú Tum, Premio Nobel de la Paz 1992, reconocimiento que puso a los mayas guatemaltecos en el ojo del mundo. Menchú considera el racismo como “una enfermedad social” que persiste y se ha globalizado.
De acuerdo con la última encuesta efectuada por Vox Latina y el Organismo Naleb, la cual fue publicada en mayo del 2009, el 92 por ciento de encuestados admitió que hay racismo en Guatemala.
Álvaro Pop, politólogo que actualmente integra el Foro Permanente de las Naciones Unidas para los Pueblos Indígenas, expone: “El racismo en Guatemala es como el alcoholismo. Tener un familiar alcohólico no lo podemos negar, es absolutamente obvio, pero no lo queremos tratar”.
Isabel Cipriano, de la asociación de mujeres mayas Moloj, asevera: “El racismo es a veces enfermizo. Las mujeres y los pueblos indígenas somos utilizados solo como adornito”.
La discriminación hacia los indígenas se evidencia en el limitado acceso al ámbito político, educativo, sanitario o de justicia. “Colocan a alguien indígena en la sexta u octava casilla (en elección de diputados), para simular inclusión”, señala Cipriano.
Menchú manifiesta que el problema radica en la falta de un Estado verdaderamente plural e incluyente. “No hay Estado en Guatemala para los pueblos indígenas. Por ejemplo, si vamos al área Ixil, el Estado se reduce a un representante, y posiblemente las oficinas más conocidas son los tribunales. La representación del Estado se reconoce como castigadora, no como armonizante”, precisa.
La limitación de acceso ocurre de igual manera en los organismos Ejecutivo y Judicial, coinciden los activistas.
A pesar de todo, Pop considera que existe un avance importante en participación política de los pueblos indígenas, que hoy están presentes en todos los partidos políticos y espacios locales. En las elecciones del 2007, de las 333 municipalidades, 129 fueron ocupadas por alcaldes indígenas, lo cual evidencia que existe
participación.
Guatemala, 08/08/2010 (PL).

lunedì 9 agosto 2010

223 - LA CONQUISTA DI ENEL

Green Power è il “braccio” dell’azienda italiana per le operazioni in America Latina.
Costruisce dighe nemiche dell’ambiente, e piace ai Benetton.
“L’energia che ti ascolta”, recita il claim di Enel, la più grande impresa elettrica italiana ed una delle più grandi al mondo, con oltre 60 milioni di clienti. Ma in Guatemala, nel dipartimento di El Quichè, cuore dei territori Maya Ixil al confine con il Messico, l’energia di produzione italiana sembra aver perso l’udito.
La strada sterrata che si inerpica ripida su per la montagna, segnando il bosco di pini, sparisce inghiottita dalle nuvole. Avvallamenti e pozzanghere impongono alla jeep un’andatura a rilento.
I bambini che giocano nel fango salutano incuriositi, ma i loro genitori scrutano i forestieri di passaggio con aria greve: hanno sguardi segnati, nei quali ripercorri trentasei anni di guerra civile, con oltre un milione di profughi interni, 15 mila sparizioni forzate e 200 mila morti. Di questi, l’83% sono indigeni Maya Ixil. Baltazar de la Cruz Rodriguez, segretario del Cocode, il consiglio comunitario di sviluppo della comunità Ixil di San Felipe, aspetta seduto sotto un porticato. “Enel ci ha ingannato”, esordisce dopo aver appena accennato un saluto con la testa. Nel 2008, il sindaco di San Juan Cotzal, una delle città principali del dipartimento, annuncia di avere ricevuto il consenso delle comunità indigene locali per la costruzione della centrale idroelettrica Palo Viejo da parte di Enel. Poco tempo prima, durante una riunione con i leader comunitari, il sindaco aveva presentato un progetto infrastrutturale, senza però precisare che il documento da firmare autorizzava anche la costruzione  della centrale. “Hanno ottenuto la nostra firma con l’inganno”, continua Baltazar, sottolineando che nelle comunità Ixil di El Quichè sono in pochi a parlare e leggere il castigliano.
A qualche chilometro da San Felipe c’è San Miguel Uspantàn. Nel 2009, il sindaco Victor Figueroa ha denunciato l’Enel per non aver informato la popolazione locale e non aver richiesto le autorizzazioni necessarie per la realizzazione del progetto di Palo Viejo: “Spetta a noi dare le licenze per la costruzione dei tralicci che trasportano l’energia – sostiene Figueroa -. Com’è possibile che il 50% delle 169 comunità della zona non abbia accesso all’energia elettrica, mentre Enel fa passare sulle loro teste cavi ad alta tensione?” chiede incredulo. Una risposta non arriva: da queste parti l’energia non ascolta, e nonostante le proteste delle comunità locali, la costruzione della centrale idroelettrica Palo Viejo è iniziata lo scorso anno e dovrà concludersi nel 2011.
A coordinare i lavori è Enel Green Power, la società per le energie rinnovabili del gruppo Enel nata nel 2008. L’impianto, che avrà una capacità complessiva di 84 megawatt e sfrutterà il flusso d’acqua del fiume Cotzal e di tre suoi affluenti, costerà circa 185 milioni di euro. Un investimento importante per il quale si è mossa anche la Simest, la finanziaria per la promozione delle imprese italiane all’estero controllata dal governo italiano, che ha già stanziato un finanziamento per agevolare le attività di Enel in Guatemala.
“ E’ per noi fonte di grande soddisfazione contribuire allo sviluppo di Enel Green Power nell’area”, ha commentato l’ad di Simest, Massimo D’Aiuto. La popolazione locale però non è dello stesso avviso. Quando i camion e le ruspe della Solel Boneh, l’impresa israeliana a cui Enel ha affidato l’apertura delle vie d’accesso alla zona, attraversarono per la prima volta San Felipe, la popolazione indigena organizzò manifestazioni di protesta contro l’azienda italiana. In seguito alla morte di due giovani Ixil, investiti da un camion della Solel Boneh, la protesta si inasprì e gli indigeni bloccarono per più giorni le principali arterie di comunicazione. Successivamente, i leader delle mobilitazioni furono minacciati di morte, come denunciato in un rapporto del 2009 dalle ong guatemalteche Conavigua e Mojomayas. Come già accaduto nel caso della diga di Chixoy, il più grande progetto idroelettrico del paese, la popolazione di Cotzal teme che venga distrutto quel sottile equilibrio con la “madre terra” che i loro avi hanno saputo preservare per migliaia di anni. La costruzione di una diga o di una centrale idroelettrica comporta un’evitabile alterazione dell’ecosistema, la perdita di biodiversità ma, soprattutto, l’allagamento di terre coltivate, spesso l’unica fonte di sostentamento. A tutto ciò si aggiunge il valore culturale e storico dei territori in cui il progetto è stato avviato, trattandosi di luoghi considerati sacri dagli indigeni Ixil. Il progetto di Palo Viejo non è il primo che l’azienda italiana, per il 31 per cento ancora a capitale pubblico, realizza in Guatemala. Enel è presente nel Paese da 10 anni, e finora ha investito circa 350 milioni di dollari per la costruzione e gestione di quattro centrali idroelettriche, con una capacità complessiva di 74 megawatt. Nel 2008 ha ottenuto l’approvazione di altri tre progetti, tutti in territorio Ixil. A questi si aggiunge il progetto di interconnessione elettrica del Centroamerica, Siepac, finanziato dalla Banca interamericana di sviluppo (Bid) e dalla Spagna, e che vede tra i soci anche Endesa, il colosso energetico spagnolo. Siepac ha come scopo quello di traghettare l’energia verso gli Stati Uniti, alimentando così il progetto di integrazione mesamericano, più conosciuto come Plan Puebla-Panamà, che vede nelle fabbriche di assemblaggio, nei grandi villaggi turistici e nello sfruttamento della biodiversità l’unica forma di sviluppo possibile. L’investimento di Enel “sul” Paese si spiega facilmente in termini economici: il Guatemala rappresenta il Paese dal più alto potenziale idroelettrico del Centroamerica, con oltre 10mila megawatt, e aspira a trasformarsi nel principale esportatore di energia verso gli altri Paesi della regione. L’attuale governo di centrosinistra di Alvaro Colom, inoltre, ha avviato una politica mirata a ridurre i costi dell’energia elettrica, al fine di attrarre capitali stranieri. Strategia che forse non ha fatto i conti con altri fattori, come il narco-traffico, la corruzione e l’insicurezza, che disincentivano gli investimenti esteri. Lo dimostra il documento di indirizzo sul Guatemala stilato dall’Istituto per il commercio estero italiano (Ice), l’ente governativo che ha il compito di facilitare i rapporti commerciali dell’Italia con l’estero. Con oltre 5 mila omicidi nel 2009, 200 tonnellate di cocaina che transitano nel Paese e un rischio imminente di recessione, “ è fin troppo facile – si legge nel documento – traguardare le drammatiche conseguenze del protrarsi dell’incapacità dello stato di imporre una politica di sicurezza efficace sulle sorti future del paese”.
Ma enel non sembra affatto preoccupata e continua ad investire i propri capitali, e quelli degli italiani, in progetti dall’alto impatto sociale e ambientale che difficilmente potranno generare lo sviluppo sperato. Intanto le popolazioni Maya Ixil si augurano che l’energia inizi ad ascoltare.
(di Christian De Lucia, Orsetta Bellini e Giulio Sensi
pubblicato su Altraeconomia, l’informazione per agire – luglio/agosto 2010, n. 118 – pag. 19-20)

222 - CON OTTO, NO: PERCHÉ LA MANO DURA NON È LA SOLUZIONE

Otto Pérez Molina sostiene che la soluzione alla violenza, alla quale i mezzi di comunicazione si riferiscono come "ondata di violenza", è la repressione per mezzo dello stato di emergenza, il regno del terrore per mezzo dell'implementazione della pena di morte, che è già vigente ma non si applica, ed il ritorno al passato per mezzo di task force.
Questa formula non può funzionare, perché le circostanze storiche oggi sono differenti da quelle del tempo di Ubico, epoca della massima nostalgia dei simpatizzanti a vivere sotto la frusta, o durante il conflitto armato, con tutta un'impalcatura di politica internazionale che, tra le altre cose, rendeva possibile l'abuso della forza.
E’ provato che lo stato di emergenza non risolve le cause della violenza, ma piuttosto genera più violenza ed aumenta l'impunità, nella quale operano gruppi di pulizia sociale, sicari, imprese private di sicurezza, ed un lungo elenco che include coloro dei quali è impossibile non parlare: i narcotrafficanti.
La pena di morte esiste nella nostra legislazione come pena massima per delitti commessi con aggravante. Ci sono imputati condannati a morte, che hanno il diritto di sollecitare un indulto. Sono passati gli anni in cui ad un presidente non tremava la mano, sia per perdonare un imputato o per teletrasmettere la sua esecuzione. Ora ciò che esiste è un vuoto legale, che permette ai poteri dello Stato di lavarsi le mani di fronte a simili responsabilità. L'Organismo Giudiziale è liberato dal dovere di eseguire la sentenza; l'Organismo Esecutivo è esonerato dalla responsabilità di fare bella figura con alcuni e cattiva con altri, concedendolo o non concederlo, perché può, a ragione, argomentare che corrisponde concederlo all'Organismo Legislativo. E questo Organismo può, a ragione, restituire la palla all’Esecutivo. E così questi imputati stanno in un limbo legale, che nel frattempo assicura loro di mantenersi in vita, ed il dibattito se questa misura ha un impatto reale nella diminuzione della delinquenza non si è ancora esaurito.
E le task force, responsabili materiali del genocidio, avevano potuto instaurare un gran terrore, ma non riuscirono a sterminare la popolazione indigena, considerata come il nemico interno, e molto meno cancellare il seme rivoluzionario, le ansie di trasformazione né l'identità, veri obiettivi dell’annientamento. Lo sterminio non sarebbe soluzione per il tipo di violenza che non ha la propria origine in gruppi specifici, come i poveri o gli appartenenti alle maras. Dice Pérez Molina che bisogna sapere utilizzare l'Esercito per dare sicurezza civica. Forse funzionava quando il presidente era come un dio sulla terra, vera incarnazione della patria, ed alla sua volontà si doveva ogni obbedienza, ma ora sappiamo che le forze militari e di sicurezza rispondono ad altri interessi, che nulla hanno a che vedere con la patria e molto col lucro illecito.
E così se qualcuno sta pensando di votare a favore del pugno duro nelle prossime elezioni, perché questa violenza non si ferma più, già da ora posso prevedere che questa violenza continuerà, così guadagnerà Otto Pérez, e le conseguenze della mano dura non ricadranno sui delinquenti, bensì su di noi, cittadini comuni, che soffriamo tutti i giorni la notizia degli assalti, furto, estorsione, violenze o sequestro veloce di familiari e conoscenti.
Io non ho la soluzione, ma posso assicurare che Otto nemmeno.
Guatemala, 27 luglio 2010.
Avancso, Adital, 30/07/10

221 - CON OTTO, TAMPOCO: POR QUÉ LA MANO DURA NO ES LA SOLUCIÓN

Otto Pérez Molina ofrece que la solución a la violencia (a la que los medios se refieren como "ola de violencia") es la represión por medio de estados de excepción, el reino del terror por medio de la implementación de la pena de muerte, que está vigente pero no se aplica, y el regreso al pasado por medio de las fuerzas de tarea.
Esta fórmula no puede funcionar porque las circunstancias históricas son distintas hoy de lo que fueron en el tiempo de Ubico, máxima añoranza de los aficionados a vivir bajo el látigo, o durante el conflicto armado, con todo un entramado de política internacional que, entre otras cosas, hacía posible el abuso de la fuerza.
Los estados de excepción han probado no resolver las causas de la violencia, sino más bien generar más violencia y aumentar la impunidad bajo la que operan grupos de limpieza social, sicarios, empresas privadas de seguridad, y un largo etcétera que incluye aquellos de los que es imposible no hablar: los narcotraficantes.
La pena de muerte existe en nuestra legislación como pena máxima por delitos cometidos con agravantes. Hay reos condenados a muerte, a quienes asiste el derecho de solicitar un indulto. Atrás quedaron los años en que a un presidente no le temblaba la mano ya fuera para perdonar a un reo o para televisar su ejecución. Ahora lo que existe es un hoyo legal que permite a los poderes del Estado lavarse las manos de semejante responsabilidad. Al Organismo Judicial, le libera de tener que ejecutar la sentencia; al Organismo Ejecutivo le releva de la responsabilidad de quedar bien con unos y mal con otros al otorgarlo o no otorgarlo, porque puede, con razón, argumentar que al que corresponde concederlo es al Organismo Legislativo. Y este Organismo puede, con razón, devolver la pelota al campo del Ejecutivo. Así es que estos reos están en un limbo legal que mientras tanto les asegura mantenerse con vida, y el debate sobre si esta medida tiene un impacto real en la disminución de la delincuencia no ha terminado.
Y las fuerzas de tarea, responsables materiales del genocidio, pudieron haber instaurado un gran terror, pero no lograron acabar con la población indígena (concebida como el enemigo interno) y mucho menos borrar la semilla revolucionaria, las ansias de transformación ni la identidad, verdaderos objetivos de la aniquilación. El exterminio no sería solución para una violencia que no tiene su origen en grupos específicos como los pobres o los mareros. Dice Pérez Molina que hay que saber emplear el Ejército en la tarea de dar seguridad ciudadana. Tal vez funcionaba cuando el presidente era como dios en la tierra, verdadera encarnación de la patria, y a su voluntad se debía toda obediencia, pero ahora, sabemos que las fuerzas militares y de seguridad responden a otros intereses que nada tienen que ver con la patria y mucho con el lucro ilícito.
Así es que si usted está pensando votar por el puño en las próximas elecciones, porque esta violencia no se aguanta más, desde ya puedo vaticinarle que esta violencia va a continuar así gane Otto Pérez, y que las consecuencias de la mano dura no van a recaer en los delincuentes, sino en nosotros, los ciudadanos comunes y corrientes que sufrimos todos los días la noticia del asalto, robo, extorsión, violación o secuestro express de familiares y conocidos.
Yo no tengo la solución, pero le puedo asegurar que Otto, tampoco.
Guatemala, 27 de julio del 2010.
Asociación para el Avance de las Ciencias Sociales en Guatemala, Avancso   
Adital, 30/07/10

giovedì 5 agosto 2010

220 - SIPACAPA CINQUE ANNI DOPO - 2 –

Il Sindaco Delfino Tema, vestito di bianco, è stato presente per chiarire le cose. Egli ha spiegato a varie centinaia di abitanti che i funzionari municipali hanno accettato l'offerta solo dopo avere consultato i residenti locali ed ascoltato molte comunità che desideravano avere accesso a quei fondi. Inoltre, il denaro sarà amministrato dalla compagnia, non dalla municipalità, ha detto, per evitare che sorgano conflitti di interesse.
“C’è chi dice che la compagnia ci ha già dato il denaro. Non potrebbe esserci qualcosa di più lontano dalla realtà che questo. Non abbiamo visto il denaro", ha insistito. "La comunità comanda e faremo quello che deciderà. Decidiamo insieme come spendere il denaro."
L'applauso è stato educato ma laconico e la moltitudine ha lasciato il municipio dirigendosi all'altro lato del paese, al salone parrocchiale per la Messa ed il pranzo. Il mormorio ed i cartelli indicavano lo scontento generalizzato.
Nel frattempo, ho approfittato del momento per avvicinarmi ad Arclia Cruz Carrillo, del paese di Canoj - una dei sindaci che agiscono come capi dall'amministrazione per i paesi della regione, tutti al riparo della municipalità di Sipacapa, la quale comprende Canoj ed altri paesi ed insediamenti nella regione.
Carrillo non era contenta. "La verità è che è tutto molto confuso, perché i nostri leader prima dicono di no e poi di sì. Noi vediamo l'acqua inquinata, la nostra comunità divisa - e ciò è molto triste, noi siamo stati sempre saldi in questa lotta. Preghiamo Dio perché questa compagnia si porti via il suo denaro e se ne vada il più presto possibile."
La Chiesa Cattolica era adornata con raso verde per l'occasione, e si è riempita di gente. Non sapeva che cosa sperare, Padre Mario declinò parlare con me prima della riunione, dicendo che era appena arrivato alla comunità e, i miei amici della COPAE dissero che egli fino al momento non si era invischiato nella lotta.
Tuttavia, non ci è voluto molto tempo per capire che questa non sarebbe una Messa ordinaria.
Padre Mario, vestito di bianco, si è recato tranquillamente al pulpito e ha preso un versetto del libro di Lucas sulla parola di Gesù ai suoi discepoli: "Pertanto vi dico, non vi preoccupiate per la vostra vita, che cosa mangerete, né per il corpo, che cosa dovete vestire. La vita è più della carne, ed il corpo è più del vestito. Considerate i corvi che né seminano, né mietono, e Dio li alimenta, quanto più siete importanti degli uccelli? "Considerate i gigli, come crescono: non lavorano né filano, e tuttavia vi dico che Salomone in tutta la sua gloria si vestì come uno di essi."
Poi passa al Vangelo di Matteo e le cose diventano interessanti.
"Nessuno può servire due padroni: perché o odierà uno ed amerà all'altro, oppure si legherà a uno, e non si curerà dell'altro. Non potete servire Dio e la miniera."
Padre Mario prendeva una posizione nella lotta, senza dubbio.
"Quale è il regno di Dio?", domandò loro. "Alcuni dicono che è l’aldilà. Io dico che è la giustizia, è quello che tutti stiamo cercando. Ma tutti sappiamo che l'altro dio può essere il denaro, il quale può trasformarsi in un idolo."
Poi ha fatto un sermone molto eloquente, nel quale ha ricordato Gesù che avvisava i suoi discepoli circa il tradimento.
"Cerchiamo miracoli all’ultimo momento", ha avvertito. "Un popolo povero è facile da comprare, ma i suoi soldi saranno spesi nei bar e in posti ambigui che dividono la mia gente."
"Dio ha creato un giardino, non un deserto. Che cosa state facendo, gente mia?"
La comunione si è svolta silenzio. Ma prima di andare via, padre Marcos ha previsto la riunione per commenti pubblici.
"Ricordino che i nostri nemici non sono quelli in carne ed ossa" ha detto Juan Monterroso del Consiglio di Popoli di San Marcos, del quale Sipacapa fa parte. "Essi sono i le multinazionali, silenziose, ci manipolano. La dignità di Sipacapa è molto più preziosa di otto milioni di quetzales.
"Ricordate, gli spagnoli ingannarono i nostri genitori con pezzi di oro. Che cosa diremo ai nostri figli e nipoti sulla decisione che stiamo prendendo ora?"
Dopo la celebrazione, Monterroso ha riflettuto sulla situazione attuale in Sipacapa: "La stessa compagnia sta creando questa confusione, è parte della sua strategia", ha detto, stanno cercando vari meccanismi per dividere alla comunità, ma Sipacapa è una comunità con un alto grado di dignità e credo che alla fine della giornata, riaffermeranno all’America latina e al mondo che la sua dignità non è in vendita."
(Tracy L. Barnett, Progetto Speranza)
COPAE 8/07/2010

219 - SIPACAPA CINCO AÑOS DESPUES – 2 –

El Alcalde Delfino Tema, vestido de blanco, estuvo presente para aclarar las cosas. El explicó a varios centenares de pobladores, que los funcionarios municipales han aceptado la oferta solo después de consultar a los residentes locales y escuchar a muchas comunidades que deseaban tener acceso a esos fondos. Además, el dinero será administrado por la compañía, no por la municipalidad, dijo, para evitar la aparición de conflictos de interés.
“Hay quienes dicen que la compañía ya nos dio el dinero a nosotros. No podría haber algo más lejos de la realidad que eso –ni siquiera hemos visto el dinero”, insistió. “La comunidad manda y haremos lo que ella diga. Vamos a decidir juntos cómo gastar el dinero.”
 El aplauso fue cortés pero silencioso y la multitud dejó el pasillo municipal dirigiéndose al otro lado del pueblo al salón parroquial a la misa y al almuerzo. El murmullo y los carteles indicaban el descontento generalizado.
Mientras tanto, aproveché el momento para acercarme a Arclia Cruz Carrillo del pueblo de Canoj- una de las alcaldesas quien sirven como jefes de la administración para los pueblos de la región, todos bajo la sombrilla de la municipalidad de Sipacapa, la cual, incluye Canoj y otros pueblos y asentamientos en la región.
Carrillo no estaba contenta. “La verdad es que es muy confuso, porque nuestros líderes primero dicen que no y luego que sí. Nosotros vemos el agua contaminada, nuestra comunidad dividida- y eso es muy triste, nosotros siempre hemos sido firmes en esta lucha. Oramos a Dios porque esta compañía se lleve su dinero y se vaya lo más pronto posible.”

La Iglesia Católica era ataviada con raso verde para la ocasión, y llena de gente. No sabía qué esperar, el Padre Mario declinò hablar conmigo antes de la reunión, diciendo que era recién llegado a la comunidad y, mis amigos de la COPAE dijeron que él hasta el momento no se había involucrado en la lucha.
Sin embargo, no tomó mucho tiempo para notar que ésta no sería una misa ordinaria.
El Padre Mario, vestido de blanco, pasó tranquilamente al púlpito y tomó un versículo del libro de Lucas sobre la palabra de Jesús a sus discípulos:
“Por tanto os digo, No os preocupéis por vuestra vida, qué comeréis, ni para el cuerpo, qué habéis de vestir. La vida es más que carne, y el cuerpo es más que el vestido. Considerad los cuervos, que ni siembran, ni siegan, y Dios los alimenta, ¿cuánto más sois mejores que las aves?
“Considerad los lirios, cómo crecen: no trabajan ni hilan, y sin embargo os digo, que Salomón en toda su gloria se vistió como uno de ellos”.
Después cambia a Mateo y las cosas se ponen interesantes.
“Ninguno puede servir a dos amos: porque o aborrecerá a uno y amará al otro, o bien se tomará de uno, y menospreciará al otro. No podéis servir a Dios y la minería.”
El Padre Mario, tomaba una posición en la lucha, sin duda.
“¿Cuál es el reino de Dios?”, les preguntó. “Algunos dicen que es el más allá. Yo digo que es la justicia, eso es lo que todos estamos buscando. Pero todos sabemos que el otro dios puede ser el dinero, el cual puede convertirse en un ídolo.”
Después prestó un sermón muy elocuente el cual recordó a Jesús advirtiendo a sus discípulos sobre la traición.
“Buscamos milagros de último momento”, advirtió. “Un pueblo  pobre es fácil de comprar, pero sus sueldos serán llevados a las cantinas y lugares oscuros que dividen a mi gente”.
“Dios creó un jardín, no un desierto. ¿Qué están haciendo, mi gente?”.
La comunión se llevó a cabo en silencio. Pero antes de irnos, el Padre Marcos dispuso la reunión para comentarios públicos.
“Recuerden que nuestros enemigos no son aquéllos de carne y hueso” dijo Juan Monterroso del consejo de Pueblos de San Marcos, del cual Sipacapa forma parte. “Ellos son los transnacionales, quiete sobre de nosotros, nos manipulan. La dignidad de Sipacapa es muchísimo más valiosa que ocho millones de quetzales.
“Recuerden, los españoles engañaron a nuestros padres con piezas de oro. ¿Qué les diremos a nuestros hijos y nietos sobre la decisión que estamos tomando ahora?”.
Después del servicio, Monterroso reflexionó sobre la situación actual en Sipacapa:
“La misma compañía está creando esta confusión, es parte de su estrategia”, el dijo, “Están buscando varios mecanismos para dividir a la comunidad, pero Sipacapa es una comunidad con un alto grado de dignidad y creo que al final del día, reafirmarán a Latinoamérica y al mundo que su dignidad no está en venta”.
Por Tracy L. Barnett, El Proyecto Esperanza
COPAE 8/07/2010

mercoledì 4 agosto 2010

218 - SIPACAPA CINQUE ANNI DOPO - 1 –

La giornalista indipendente Tracy Barnett ha visitato San Marcos per una settimana nel giugno 2010. Per il suo "Portale di Notizie Verdi per le Americhe", chiamato "Il Progetto Speranza", ha scritto vari articoli sul tema delle miniere e della resistenza, ne presentiamo uno. In questo articolo si tratta del quinto anniversario della consultazione comunitaria in Sipakapa e dell'accettazione da parte della municipalità di 8 milioni di quetzales, provenienti dell'impresa minerario Montana Exploradora (Goldcorp).
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SIPACAPA, Guatemala - Per molti guatemaltechi, il nome di questo paese si è convertito in un simbolo della resistenza indigena per trasformare le operazioni di settore minerario, che ha stravolto queste terre negli anni recenti. La settimana scorsa, nel quinto anniversario dell'avvenimento che mise in moto la resistenza, centinaia di persone si sono unite per celebrare, ma l'ambiente non era proprio delle celebrazioni.
Cinque anni fa, il 18 giugno 2005, gli abitanti di questo municipio rurale, portarono a termine una serie di consultazioni cittadine, o plebisciti, nei quali fu quasi unanime il rifiuto alla presenza di imprese minerarie internazionali. I residenti di questa comunità, nella sua maggioranza maya, hanno appena saputo che il governo ha venduto tutti i diritti minerari dove essi vivono, garantendo centinaia di concessioni minerarie a corporazioni internazionali, in questo decennio, dopo gli accordi di pace, senza avere almeno consultato le comunità.
Queste consultazioni, che costituiscono la base in ogni forma di partecipazione democratica per la gente indigena in tutto il mondo, sono richieste dalla legge internazionale, ma il governo del Guatemala preferisce non rispettare la legge. Cosicché la gente ha preferito realizzare la propria consultazione e la sua iniziativa ispirò un movimento. Sipacapa fu il titolo di un documentario che celebrava la vittoria: "Sipacapa non si vende”.
Crescendo come una fiamma che si estende lungo le colline ed ora, circa 600.000 persone hanno votato "No" alle operazioni minerarie o alle altre attività di multinazionali nelle loro terre. Il governo ha risposto dichiarando che le consultazioni non sono vincolanti, ma il movimento continua a crescere ed è stato internazionalmente riconosciuto.
Esistono molte ragioni per celebrare questo anniversario, dopo cinque anni di lotta, le voci degli indigeni guatemaltechi sono ascoltate nel mondo. La Commissione Interamericana per i Diritti umani ha appena raccomandato che le operazioni nella miniera siano sospese in attesa di nuovi studi, basandosi su un'investigazione dell'Università di Michigan che rivela elevati livelli di agenti inquinanti nei fiumi e nel sangue degli abitanti residenti vicino alla zona. Ultimamente, il relatore speciale delle Nazioni Unite, James Anaya, forse l'autorità più alta rispetto ai diritti umani degli indigeni, sta visitando la regione, ascoltando le preoccupazioni della gente e mostrando il suo appoggio.
Ma nel giorno dell'anniversario, sono stati visti un mare di volti scuri riunirsi nel Municipio, mentre i funzionari spiegavano perché avevano accettato gli otto milioni di quetzales, equivalenti a circa $980.000 dollari americani, dalla Montana Exploradora, la sussidiaria della compagnia mineraria multinazionale Goldcorp.
L'ubicazione accanto all'altamente produttiva Miniera Marlín e la popolazione notoriamente indigena hanno fatto di Sipacapa un obiettivo logico per il futuro investimento di Goldcorp, cosicché non fu sorpresa quando la compagnia offrì denaro ai funzionari per lo sviluppo di progetti, "senza vincoli"; tuttavia, fino ad ora, essi hanno resistito.
Con la tradizionale forma di governo praticata in questo e nella maggioranza delle comunità indigene, i leader non sono autorizzati a prendere decisioni importanti senza prima fare riunioni con gli abitanti, cioè democrazia pura. In Sipacapa, alcuni affermarono che questo non è successo.
COPAE 8/07/2010

217 - SIPACAPA CINCO AÑOS DESPUES – 1 –

La periodista independiente Tracy Barnett estuvo en San Marcos durante una semana en Junio 2010. Para su "Portal de Noticias Verdes para las Américas", llamado "El Proyecto Esperanza", escribió varios artículos sobre el tema de minería y resistencia, de los cuales abajo presentamos uno. Este artículo se trata del quinto aniversario de la consulta comunitaria en Sipakapa y de la aceptación por parte de la municipalidad de Q 8 millones proveniente de la empresa minera Montana Exploradora (Goldcorp).
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SIPACAPA, Guatemala- Para muchos guatemaltecos, tan solo el nombre de este pueblo se ha convertido en un símbolo de resistencia indígena para transformar las operaciones de minería que ha barrido con estas tierras en los años recientes. La semana pasada, en el quinto aniversario del acontecimiento que puso en marcha a la resistencia, cientos se unieron para celebrar, pero el ambiente era todo menos de celebración.
Hace cinco años, el 18 de junio del 2005, las villas de esta municipalidad rural, llevaron a cabo una serie de consultas ciudadanas o plebiscitos, en las cuales, el rechazo a la presencia internacional de empresas mineras fue casi unánime. Los residentes de esta comunidad, en su mayoría mayas, se acaban de enterar que el gobierno ha vendido  todos los derechos minerales donde ellos están parados, garantizando cientos de concesiones mineras a corporaciones internacionales, en lo que va de la década, después de los acuerdos de paz, sin siquiera haberles consultado.
Estas consultas, la base en la forma de participación democrática por la gente indígena en todo el mundo, se requieren bajo ley internacional, pero el gobierno de Guatemala prefiere no respetar la ley. Así que la gente ha preferido realizar su propia consulta y su iniciativa inspiró un movimiento. Sipakapa fue el título de un documental celebrando la victoria- “Sipakapa no se vende”.
Creciendo como una llama que se expande a lo largo de las colinas y ahora, un estimado de 600 mil personas han votado “NO” a las operaciones mineras u otras actividades de transnacionales en sus tierras. El gobierno ha respondido declarando que las consultas no son vinculantes, pero el movimiento continua creciendo y ha sido internacionalmente reconocido.
Existen muchas razones para celebrar este aniversario, tras cinco años de lucha, las voces de indígenas guatemaltecos se han escuchado alrededor del mundo. La Comisión Interamericana de los Derechos Humanos acaba de recomendar que las operaciones en la mina sean suspendidas en espera de nuevos estudios, siguiendo una investigación de la Universidad de Michigan que revela elevados niveles de contaminantes en los ríos y en la sangre de los residentes cercanos a la zona. Ultimamente, el relator especial de las Naciones Unidas, James Anaya, quizá la autoridad más alta con respecto a los derechos humanos de los indígenas, se encuentra visitando la región, escuchando las preocupaciones de la gente y mostrando su apoyo.
Pero en el día del aniversario, se observó un mar de caras sombrías se reunieron en el Ayuntamiento, mientras los funcionarios explicaban por qué habían aceptado los 8 millones de quetzales, equivalentes a unos $980 mil dólares americanos, de la Montana Exploradora, la subsidiaria de la compañía minera transnacional Goldcorp.
La ubicación al filo de la altamente productiva mina Marlín y la población notoriamente indígena hicieron a Sipacapa un objetivo lógico para la futura inversión de Goldcorp, así que no fue sorpresa cuando la compañía ofreció dinero a los funcionarios para el desarrollo de proyectos, “sin ataduras”; sin embargo, hasta ahora, ellos se han resistido.
Bajo la tradicional forma de gobiernos practicada en esta y en la mayoría de comunidades indígenas, los líderes no están autorizados para hacer decisiones importantes sin llevar a cabo reuniones con la ciudadanía, democracia pura. En Sipacapa, algunos afirmaron que esto no sucedió.
Por Tracy L. Barnett, El Proyecto Esperanza
COPAE 8/07/2010

lunedì 2 agosto 2010

216 - LA NEGLIGENZA CHE UCCIDE.

Il sistema di salute è carente e le autorità si rifiutano di risolvere il problema.    
Questa settimana sono iniziate le azioni, da parte di medici, lavoratori della salute e sindacato nazionale dei Lavoratori della Salute del Guatemala, affinché il Governo ed il Ministero di Salute prestino attenzione alla grave crisi del sistema ospedaliero e della salute del paese.
È inaudito che gli ospedali siano sprovvisti, in un paese nel quale la metà dell'infanzia soffre denutrizione cronica, ci sono per lo meno 15 attacchi armati al giorno che causano morti e feriti, e ci sono numerosi casi di dengue segnalati. È questa la popolazione che più ha bisogno dei servizi di salute. A ciò si somma la situazione generata dagli effetti degli eventi naturali che si sono trasformati in disastri per la popolazione più povera del paese.
Nel frattempo, il Governo insiste nell’investire fondi in altre voci di carattere superficiale e di proselitismo subdolo, attraverso la consegna di donazioni. A niente serve un sacchetto di cibo a chi muore lentamente di fame o per mancanza di medicine ed assistenza che potesse salvargli la vita.
Sebbene è certo che le donazioni vincolate potessero contribuire ad aiutare in alcune famiglie che sono state selezionate (perché non ne beneficia la maggioranza), è anche certo che non risolve nessun problema, né di educazione né di salute. Basta paragonare i 300 quetzales della donazione condizionata con la cifra da 900 a 1.500 quetzales che costa una tomografia nel sistema privato di salute. Se nei luoghi più isolati del paese non esiste questo servizio da parte del sistema pubblico, una persona che richieda per esempio questo esame, è condannata alla morte o alla malattia. Sarebbe più intelligente e utile per il paese che le nostre imposte si investissero nell’attrezzare e dotare adeguatamente il sistema ospedaliero e di salute, invece di campagne pubblicitarie e proselitismo mascherato. E’ urgente mettere un freno alla negligenza criminale.
"La negligenza uccide come le pallottole."
D'altra parte, segnaliamo che ci sono casualità poco credibili. Facciamo notare il fatto che questa negligenza e sistematica mancanza di attenzione al settore della salute non è isolata. Questa settimana è stato approvata al Congresso, nel quadro del TLC, la legge che autorizza ad operare nel paese le imprese assicurative straniere. Già una compagnia di assicurazione inglese nel settore della salute ha manifestato il suo interesse ad operare in Guatemala. Come sempre, a causa del modello neoliberale che avanza senza grandi ostacoli dai vari governi che si sono succeduti, indipendentemente del partito che arriva al potere, è più importante la salute delle imprese che la salute della gente.
Non ci stupiremmo se tra poco verrà lanciata un'offensiva per offerte di servizi di salute per mezzo di compagnie di assicurazione private. Davanti a questo diciamo: No alla Privatizzazione della salute. Stop allo smantellamento del sistema di salute pubblica e gratuita.
Perché tutti paghiamo imposte:
Chiediamo del Governo e al Ministero della Salute misure urgenti per dare risposta alla crisi nel settore salute.
PERCHE’ LA SALUTE È UN DIRITTO…
Fronte nazionale di lotta in difesa dei servizi pubblici e delle risorse naturali.
Membro di Piattaforma Sindacale Comune Centroamericana
Guatemala, 16/07/2010

215 - LA NEGLIGENCIA QUE MATA

El sistema de Salud desabastecido y las autoridades se niegan a resolver.
Esta semana se iniciaron las acciones, por parte de médicos, trabajadores de la salud y el Sindicato Nacional de Trabajadores de la Salud de Guatemala, para que el Gobierno y el Ministerio de Salud pongan atención a la grave crisis en el sistema hospitalario y de salud del país.
Es inaudito que los hospitales estén desabastecidos en un país en el que la mitad de la niñez padece desnutrición crónica, hay por lo menos 15 ataques armados al día que dejan muertos y heridos y hay numerosos casos de dengue reportados. Es esta la población que más necesita los servicios de salud. A lo anterior, se suma la situación generada por los efectos de los eventos naturales que devinieron en desastres para la población más pobre del país.
Mientras tanto, el Gobierno insiste en invertir fondos en otros rubros de carácter superficial y de proselitismo solapado a través de la entrega de dádivas. De nada sirve una bolsita de comida a quien se muere lentamente de hambre o por falta de un medicamento y atención que pudiera salvarle la vida.
Si bien es cierto que las remesas condicionadas pudieran contribuir a ayudar en algunos hogares que se han seleccionado, (por que no benefician a la mayoría) también es cierto que no resuelve ningún problema ni de educación ni de salud. Basta comparar los 300 quetzales de la remesa condicionada con los 900 a mil quinientos quetzales que cuesta una tomografía en el sistema privado de salud. Si en los lugares más apartados del país, no existe este servicio desde el sistema público, una persona que requiera este examen por ejemplo, está condenada a la muerte o la enfermedad. Sería más inteligente y benefici oso para el país, que nuestros impuestos se invirtieran en equipar y dotar debidamente el sistema hospitalario y de salud, que en lugar de campañas publicitarias y proselitistas disfrazadas. Urge poner un alto a la negligencia criminal.
“La negligencia mata lo mismo que las balas”.
Por otro lado, señalamos que hay casualidades poco creíbles. Hacemos notar el hecho que esta negligencia y sistemática falta de atención al sector salud no viene sola. Esta semana se aprobó en el Congreso, en el marco del TLC, la ley que autoriza a operar en el país a las empresas de seguros extranjeras. Ya una aseguradora en salud inglesa manifestó su interés en operar en Guatemala. Como siempre, para el modelo neoliberal que avanza sin mayor tropiezo durante varios gobiernos consecutivos (independientemente del partido que llega al poder), es más importante la salud de las empresas que la salud de la gente.
No nos extrañaría que dentro de poco se lance una ofensiva de oferta de servicios de salud por medio de aseguradoras privadas. Ante esto decimos NO A LA PRIVATIZACIÓN DE LA SALUD. Alto al desmantelamiento del sistema de salud pública y gratuita. Porque todos pagamos impuestos:
Demandamos del Gobierno y del Ministerio de Salud las medidas urgentes para dar respuesta a la crisis en el sector salud.
Abajo agregamos el comunicado del Sindicato de Salud y las citas de la cobertura de la prensa.
POR QUE LA SALUD ES UN DERECHO…
Frente Nacional De Lucha En Defensa De Los Servicios Públicos y Los Recursos Naturales
Miembro de Plataforma Sindical Común Centroamericana
Guatemala, 16/07/2010

domenica 1 agosto 2010

214 - MOVIMENTI SOCIALI SOSTENGONO CHE IL PAESE DEVE LOTTARE CONTRO LA DISUGUAGLIANZA.

Con uno degli indici di povertà più elevati dell'America Latina, con quasi il 55% della popolazione considerata povera, secondo dati della Commissione Economica per America Latina ed i Caraibi (Cepal ,dati del 2008) il Guatemala non trova soluzioni per ridurre il problema. La disuguaglianza, soprattutto a causa della cattiva ed ingiusta distribuzione delle entrate, è uno dei motivi evidenziati dal Movimento delle Organizzazioni Sociali del Guatemala (Mosgua), in un recente comunicato.
Perché si abbia un'idea, nel 2008 il salario minimo per le persone che lavoravano nell'agricoltura era di Quetzales 1.603, mentre il valore del paniere era di Quetzales 1.974. Con l'aumento del governo, decretato all'inizio di quest’anno, il salario rimase a 56 quetzales al giorno, equivalente a 6,72 dollari giornalieri. Anche così la quantità è insufficiente per coprire le spese mensili dei cittadini, poiché il valore del paniere, secondo l'Istituto Nazionale di Statistiche, è attualmente calcolato in Q1.917.
Davanti a questo scenario, l'opinione del Movimento è che vari settori guatemaltechi sono condannati alla povertà e l'estrema povertà, a causa dello sfruttamento e di altre azioni illegali realizzate da un piccolo gruppo di grandi impresari e famiglie potenti del paese. "In sintesi: in tutte le aree dell'economia continua e si fa sentire l'ingiustizia proveniente da alcune famiglie e dirigenti imprenditoriali, che si appropriano in forma privata della ricchezza che le maggioranze producono in Guatemala", ha rivelato.
Sfruttamento, bassi salari, furto delle imposte, commerci ed attività basate sulla corruzione ed evasione degli obblighi fiscali sono solo alcuni modi messi in atto da quei settori per guadagnare a danno della maggioranza della popolazione guatemalteca.
"Sottolineiamo che finché esiste un 84% di guatemaltechi con bassi salari, disoccupati o coinvolti nell'economia informale e/o di sussistenza, essendo contemporaneamente quelli che pagano più imposte dirette ed indirette, è un diritto che esistano programmi sociali che restituiscano parte di quello che producono per costruire la ricchezza del paese", sottolineò il Movimento.
Secondo il Mosgua, il 95% della popolazione guatemalteca riconosce che il paese ha bisogno di cambiamenti di fondo per ottenere una vera libertà, realizzando uno Stato di Diritto e con l'esercizio del diritto allo Stato. Prova della necessità di questo cambiamento è la posizione di alcuni deputati ed imprenditori, che cercano di fermare l’approvazione di leggi e di progetti che danno esecuzione alla politica nazionale e alla legge di Sviluppo Rurale Integrale, mentre altri settori sociali ed economici incentivano il loro tramite nel Congresso della Repubblica.
Adital - 20.07.10

213 - MOVIMIENTOS AFIRMAN QUE EL PAÍS NECESITA LUCHAR CONTRA DESIGUALDAD

Con uno de los índices de pobreza más elevados de América Latina, con casi el 55% de la población considerada pobre, según datos de la Comisión Económica para América Latina y el Caribe (Cepal) de 2008, Guatemala no encuentra soluciones para reducir el problema. La desigualdad,sobre todo a causa de la mala e injusta distribución de ingresos, es uno de los motivos remarcados por el Movimiento de Organizaciones Sociales de Guatemala (Mosgua) en reciente comunicado.
Para que se tenga una idea, en 2008 el salario mínimo para las personas que trabajaban en la agricultura era de Q 1 mil 603, mientras que el valor de la canasta básica estaba en Q1 mil 974. Con el aumento del gobierno, decretado a comienzos de este año, el salario quedó en 56 quetzales por día, el equivalente a 6, 72 dólares diarios. Aun así la cantidad es insuficiente para cubrir el gasto mensual del ciudadano o la ciudadana, ya que el costo de la canasta básica, de acuerdo con el Instituto Nacional de Estadísticas, está actualmente calculada en Q1 mil 917.
Ante este escenario, la opinión del Movimiento es que varios sectores guatemaltecos están condenados a la pobreza y a la extrema pobreza a causa de la explotación y de otras acciones ilegales realizadas por un pequeño grupo de grandes empresarios y familias poderosas del país. "En resumen: en todas las áreas de la economía continúa y se hace sentir la injusticia proveniente de unas cuantas familias y dirigentes empresariales, que se apropian en forma privada de la riqueza que las mayorías producen en Guatemala", reveló.
Explotación, bajos salarios, robo de impuestos, negocios y obras basadas en la corrupción y evasión de las obligaciones fiscales son sólo algunas maneras encontradas por esos sectores para lucrar a costa de la mayoría de la población guatemalteca.
"Resaltamos que mientras exista un 84% de guatemaltecos con bajos salarios, desempleados o desplazados hacia la economía informal y/o de subsistencia, siendo al mismo tiempo los que más pagan impuestos directos e indirectos, es un derecho que existan programas sociales que devuelvan parte de lo que producen para construir la riqueza del país", destacó el Movimiento.
De acuerdo con el Mosgua, el 95% de la población guatemalteca reconoce que el país necesita cambios de fondo para conseguir una verdadera libertad, cumpliendo con Estado de Derecho y con el ejercicio del Derecho al Estado. Prueba de la necesidad de este cambio es la postura de algunos diputados y empresarios que intentan parar a aprobación de leyes y de presupuestos que ejecutan la política nacional y la ley de Desarrollo Rural Integral, mientras que otros sectores sociales y empresariales incentivan su trámite en el Congreso de la República.
Adital - 20.07.10