Benvenuti nel blog “Orizzonte Guatemala”! Siamo un gruppo di amici del Guatemala e con questo strumento di comunicazione e condivisione vogliamo contribuire a fare conoscere l’attualità di questo bellissimo paese, al quale ci legano vincoli di amicizia e di solidarietà con tanti amici guatemaltechi.


venerdì 3 maggio 2013

730 - CHI SONO GLI ASSASSINI IN GUATEMALA

Rios Montt è accusato di essere l'autore intellettuale di una serie di massacri contro l'etnia ixil. Durante il processo, un testimone ha detto che furono coordinati dal maggiore Tito Arias, nome di guerra dell'oggi presidente Otto Pérez Molina.
Addio bambini. Nel corso del tempo, l'orrore causato prodotto dall'uomo ha prodotto argomenti, pratiche, storie, geografie. Inquisizione, Auschwitz, Vietnam, Ruanda. Di questi, sappiamo già. Dell'orrore si parla in questi giorni in Guatemala, dove è in corso il processo per genocidio nei confronti dell'ex dittatore José Efraín Ríos Montt. O stava, perché la pressione dei massimi strati di potere dopo un'accusa nel processo all'attuale presidente democratico, Otto Pérez Molina, si è tradotta in una sospensione provvisoria, decisa dalla Corte Costituzionale. Rios Montt è un generale ritirato che fu presidente tra marzo 1982 e agosto 1983 ed è accusato di essere autore intellettuale di una serie di massacri contro l'etnia ixil nel dipartimento del Quiché. Terra bruciata: quello fu il concetto da applicare. Con l'argomento di stroncare la guerriglia l'esercito guatemalteco fermò, torturò ed uccise circa 48.000 persone durante il mandato di questo militare che oggi ha 86 anni. In questo processo si sta cercando di provare la sua responsabilità nei crimini di 1771 maya ixiles. Il 38% era minore di 12 anni. “Addio bambini” è quello che diceva un soldato l'istante prima di gettarli nel fiume. "L'esercito afferrò alcune madri incinta, le sgozzò, aprirono loro il ventre ed estrassero il bebè", raccontò un testimone. "I lattanti e i bambini di un anno li gettarono nel fiume e lì annegarono", raccontò un altro.
Quelle testimonianze compaiono in “Guatemala: memoria del silenzio”, pubblicato dalla Commissione per il Chiarimento Storico (CEH), nel febbraio 1999. Nel libro ci sono ancora molte altre voci più cariche di orrore. All'inizio di questo mese dichiararono davanti a Rios Montt e al suo ex capo di Intelligence, Mauricio Rodríguez Sánchez, l'altro accusato nel processo, una decina di donne che furono violentate da soldati ed ufficiali con una violenza e crudeltà che solo è osservabile tra gli esseri umani. Nell'uomo. “Mi portarono ad un campo circa a venti quadras dalla mia casa. I soldati che mi violentavano erano circa venti, io stavo tremando dello spavento, non ero cosciente. Mi lasciarono nuda, altre persone mi regalarono vestiti. Avevo un figlio di trenta giorni. Quando ritornai a casa mia tutto era bruciato. Bruciarono mio figlio. Era ancora un bebè, mi misi a piangere”. Un'altra vittima dichiarò in Tribunale, presieduto dalla giudice Jazmin Barrios, che una bimba di sette anni non sopravvisse alle continue violenze. L'accanimento contro gli ixil causò squartati, impiccati, mutilati, bombardamenti, fosse comuni, cremati. Terra bruciata. A tre decenni da ciò, alla ricerca ancora della giustizia, si sentono un'altra volta queste testimonianze da brivido.
Che distanza o che vicinanza, che coinvolgimento, sarà requisito per parlare, leggere, scrivere di questo genocidio? Horacio Castellanos Moya trattò ciò in “Insensatez”, una novella pubblicata nel 2004. Il suo protagonista si rimprovera di avere accettato dare l'ultima lettura, dare i ritocchi finali ad un testo di mille cento pagine elaborato dall'episcopato che cerca di recuperare la memoria delle centinaia di sopravvissuti e testimoni dei massacri. Si tratta della Relazione per il Recupero della Memoria Storica, benché lo scrittore centroamericano non lo dica esplicitamente. Due giorni dopo la sua presentazione, nell’aprile del 1998, fu assassinato il vescovo Juan Gerardi, direttore di questo progetto, chiamato “Guatemala: Mai più”. Al narratore di Insensatez, interessato piuttosto a guadagnarsi un po’ di soldi, vivere bene e conoscere qualche ragazza, a poco a poco comincia ad aver paura delle possibili rappresaglie di militari o di agenti dell’Intelligence per il suo compito. Contemporaneamente, si commuove per quello che continua a leggere, le atrocità di assassini che sono ancora liberi. Io non sono completamente sano di mente, legge, dice un indigeno. Si commuove anche per la potenza poetica di quello che legge.
Scrive Castellanos Moya: "Io non sono completamente sano di mente, mi ripetei, colpito dal grado di turbamento mentale nel quale era stato spinto quell'indigeno cachi quel, testimone dell'assassinio della sua famiglia, per il fatto che quell'indigeno fosse cosciente della ferita psichica causata dall’avere presenziato, ferito ed impotente, a come i soldati dell'esercito del suo paese tagliavano a pezzi e con indifferenza ognuno dei suoi quattro figli piccoli e subito dopo si scagliavano contro sua moglie, la povera già in stato di shock, perché era stata anche obbligata a vedere come i soldati trasformavano i suoi figlioletti in palpitanti pezzi di carne umana. Nessuno può essere sano di mente, mi dissi, cavillando, morboso, tentando di immaginare quello che aveva potuto essere il risveglio di quell'indigeno che avevano lasciato, credendolo morto, tra i pezzi di carne dei suoi figli e di sua moglie e che dopo, molti anni dopo, ebbe l'opportunità di raccontare la sua testimonianza, affinché io la leggessi e gli facessi le necessarie correzioni di stile, una testimonianza che cominciava precisamente con la frase ‘Io non sono sano di mente', che mi aveva commosso tanto, perché riassumeva nella maniera più unanime lo stato mentale in cui si trovavano le decine di migliaia di persone che avevano sofferto esperienze simili a quella raccontata dall'indigeno e riassumeva anche lo stato mentale delle migliaia di soldati e paramilitari che avevano squartato con grande piacere i propri compatrioti, benché debba riconoscere che non è la stessa cosa essere malato di mente per avere subito lo squartamento dei propri figli che per avere squartato figli altrui, come mi dissi prima di giungere alla schiacciante conclusione che era la totalità degli abitanti di quel paese che non era sana di mente, e ciò mi condusse ad una conclusione ancora peggiore, che turba maggiormente, e che solo qualcuno che fosse fuori di testa poteva essere disposto ad andare in un paese la cui popolazione era inferma di mente, per realizzare un lavoro che consisteva precisamente nella pubblicazione di un'estesa relazione di mille cento fogli, nella quale si documentavano le centinaia di massacri, prova del turbamento generalizzato".
Durante il processo all'ex dittatore – che è anche chiamato “Fiumi di sangue Montt” - un testimone protetto che collaborò con l'esercito in Quiché in quegli anni, Leonardo Reyes, affermò che i massacri degli ixil furono coordinati dal maggiore Tito Arias, nome di guerra che copriva Otto Pérez Molina, attuale presidente del Guatemala. Da allora, il processo ha incominciato ad andare storto. Subito un segretario della Presidenza smentì la dichiarazione: che è stato un errore madornale che la Procura abbia permesso al testimone di riferirsi a persone che non sono processate. Che Pérez Molina era in quella regione in quell'epoca, ma senza violare nessun diritto umano né ordinare nessun massacro. Non è quello che pensa il giornalista Allan Nairn, che nel 1982 era nella zona del Quiché e documentò la situazione per “Titular de hoy: Guatemala”, film di Michael Whalforss disponibile in YouTube. Lì si può vedere un dialogo col maggiore Tito sulla provenienza dei mortai e le i vantaggi offerti dagli elicotteri. Davanti ai cadaveri di alcuni contadini appena giustiziati si sente la voce di un soldato: “Li portammo solamente e li lasciammo al maggiore affinché li interrogasse, ma non dissero niente al maggiore. Né con le buone né con le cattive". Può anche vedersi un giovane Pérez Molina in primo piano, vestiti mimetici e basco, leggendo "materiale sovversivo che avevano con sé le vittime”. Nairn stava andando a dichiarare nel processo, ma fino ad ora ostacoli giudiziali l'hanno ostacolato. Al ruolo di Pérez Molina nei massacri contro gli ixiles si somma un'altra imputazione, non giudicata qui: il giornalista Francisco Goldman, autore di “L'arte dell'assassinio politico: chi ammazzò il vescovo?”, sostiene e afferma che l'attuale presidente guatemalteco fu l'autore intellettuale dell’assassinio di monsignor Gerardi. 
"Quasi il 90% degli editorialisti della stampa guatemalteca nega che nel proprio paese sia stato commesso genocidio, e credono che il processo contro il generale in pensione Efraín Ríos Montt è ingiusto", segnala sul giornale El Faro lo scrittore Rodrigo Rey Rosa, in un articolo che analizza gli argomenti dei difensori dello status quo, per evidenziare errori ed ipocrisie. Essere riuscito a fare in modo che la causa per crimini contro il popolo ixil sia vista in tribunali stranieri e nazionali ha richiesto un lavoro e perseveranza enormi da parte dei sopravvissuti, ed è prova della sua forza di spirito - scrive Rey Rosa-. La fiducia che gli ixiles hanno deciso depositare nelle istituzioni democratiche di una nazione dai cui governi sono stati attaccati in forma sistematica durante la storia è degna di encomio e rivela la loro buona fede. La linea di azione pacifica e coraggiosa che hanno adottato è semplicemente esemplare." Dietro la pressione dell'opinione pubblica e l'apparizione della testimonianza contro Pérez Molina, la giudice Patricia Flores, responsabile del Tribunal de Mayor Riesgo A, ha chiesto l'annullamento del processo. La Corte Costituzionale disse alla giudice Barrios -a cui carico è il giudizio- di rimettere l'espediente alla Flores e che, dopo 48 ore, questa ultima lo inviasse un'altra volta alla Corte, per decidere la continuità o no del processo. In sintesi: è a rischio la continuità dello storico processo a Rios Montt.
Il correttore di Insensatez, il romanzo di Castellanos Moya, entra progressivamente in panico quando gli diventa chiaro che gli assassini, i torturatori, si muovono ancora da quelle parti, liberi per strada, inseriti nelle istituzioni. Nell'episcopato, dove legge i fogli che testimoniano l'orrore, incrocia una ragazza che era stata torturata con accanimento in un edificio della Polizia da un tenente, che più tardi diventerà generale e capo dell’Intelligence dell'Esercito. Immaginare che il criminale sarà informato del suo lavoro lo spaventa: lo vede in una riunione, pensa che lo stia spiando, pronto ad ucciderlo. Fugge dal Guatemala. Mentre prende una birra in un bar tedesco, tuttavia, gli ritornano alla mente come onde di sangue le frasi del genocidio: "Quanto più si ammazza, tanto più si va in alto", in relazione a certi benefici offerti a chi collabora con i massacri. Ed anche: “Tutti sappiamo chi sono gli assassini". Solo davanti al bancone, nello specchio scopre all'improvviso alcuni occhi che lo guardano. Il torturatore.
Quel personaggio che arriverà ad essere capo dell’Intelligence dell'Esercito e molto più, si chiama nel romanzo Octavio Pérez Mena. Attenzione: può suonare simile ad Otto Pérez Molina, l'attuale presidente del Guatemala. Insensatez è una finzione. E Pérez Molina è realmente il presidente del Guatemala.
Tutti sappiamo chi sono gli assassini.
Angelo Berlanga, Giornalista Página/12, Adital, 29/04/2013