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domenica 23 ottobre 2011

534 - GENOCIDIO IN GUATEMALA: FEMMINICIDIO TACIUTO

Oltre 100.000 donne furono violentate nei 36 anni di conflitto in Guatemala. Quelle aggressioni hanno segnato un presente nel quale la violenza di genere è diventata abituale.
Il  Guatemala continua ad essere territorio ostile per una donna: 685 donne assassinate nel 2010, 120 dall’inizio dell’anno. Le cifre delle violazioni e torture superano quelle di qualunque altro paese del Sud America. Perfino quelle di Città Juárez. Questa statistica è il seguito del periodo più nero del conflitto che si è combattuto in questo paese per 36 anni (1960-1996), quando oltre 100.000 donne furono violentate e torturate seguendo un programma di sterminio dell'etnia maya. Tutto ciò ha determinato una cultura di violenza, che è ancora impunita, contro le donne, per cui c’è solo un 1% di possibilità che in un caso si arrivi alla giustizia. In questo contesto, una causa istruita dall'Udienza Nazionale spagnola si è trasformata nell'unica possibilità di cambiare il destino delle donne guatemalteche.
La guerra interna tra il Governo e la guerriglia si concluse oltre 200.000 morti, nella maggioranza indigeni di origine maya. La violazione, la mutilazione, la schiavitù sessuale ed il feticidio (assassinio di feti) sono stati utilizzati come mezzo per sterminare i maya: spezzare la donna era il modo per distruggere la popolazione. Un piano organizzato perfettamente, per il quale l'esercito fu accuratamente addestrato, come dimostrano le relazioni della Commissione per il Chiarimento Storico del Guatemala.
Una di quelle vittime fu Teresa Sic: "Quando mi trovarono, i soldati mi afferrarono a forza, mi portarono vicino al fiume e mi violentarono. Erano più di centocinquanta. Quel giorno stavano anche violentando altre donne del villaggio. Bruciarono tutto. Mi legarono e riuscii a slegarmi con l'aiuto di mia figlia di cinque anni. Cercai aiuto. Aveva fame e paura, ma nessuno ci alloggiava."
È il 1999 quando il Tribunale Nazionale spagnolo ammette a giudizio la causa presentata dalla Fondazione Rigoberta Menchú Tum, nella quale si accusa per la prima volta l'ex capo di Stato, Rios Montt, e altri sette ufficiali, di terrorismo, genocidio e tortura sistematica. Cinque anni dopo, il Tribunale spagnolo stabilisce di procedere contro gli otto generali, ma le autorità guatemalteche si rifiutano di estradarli. Per le autorità del Guatemala, le violazioni in massa avvenute durante il conflitto furono considerate "semplici danni collaterali."
"Giorni dopo mi portarono con la forza al distaccamento militare di El Chol", continua la narrazione di Teresa Sic, "dove fui violentata da molti soldati per 15 giorni consecutivi, solo mi lasciavano riposare brevemente per dormire. (...) Ci diedero sangue di toro da bere e carne cruda da mangiare".
Nel dipartimento del Quiché, al nord della capitale del Guatemala, i verdi campi seminati ed i colorati mercati nascondono uno dei macabri segreti della storia del paese. Questa è la zona dove la violenza durante il conflitto fu estrema soprattutto negli anni Ottanta. Le donne sopravvissute al genocidio hanno deciso di rompere il loro silenzio e guardare in faccia il Governo accusando i colpevoli.  "Dobbiamo chiarire i fatti e che lo Stato li riconosca  realmente, questo è il mio maggiore desiderio", dice Feliciana, "non abbiamo voce, la violazione durante il conflitto armato sembra non esistere".
Le donne parlano del rifiuto che subiscono nelle loro comunità per aver detto la verità. “Ci segnalano, ci insultano, perfino ridono di noi quelli che ci violentarono", afferma María Castro, che non può evitare di commuoversi raccontando come, dopo avere dichiarato come testimone al Tribunale Nazionale Spagnolo, nel 2008, suo figlio fu assassinato.
Patrizia Yoj, avvocato di etnia maya che collabora con le denunce, afferma che "perfino il rappresentante del Programma Nazionale di Risarcimento, piano statale che si occupa della riparazione delle vittime del conflitto, disse che non credeva nelle violazioni e questo fu pubblicato nei mezzi di comunicazione. È denigratorio."
Il rifiuto da parte dei loro mariti è la cosa più dura per queste donne che hanno sofferto le peggiori torture. María Castro non vuole ricordare, ma sa che farlo può salvare molte vite: "I soldati mi catturarono, portavo la mia bambina con me, la bambina si spaventò molto, piangeva, gridava, ma i soldati mi tolsero le cose che portavo, mi gettarono al suolo. Mi ricordo che erano tre quelli che mi violarono, ma non so quanti altri lo fecero perché ci fu un momento nel quale persi la conoscenza. Quando svegliai li vidi raccogliere affrettatamente le loro armi ed andare via verso un altro posto. Mia figlia mi aiutò portando in braccio suo fratello, ma piangeva molto, aveva visto tutto". Il suo racconto si ferma, i suoi occhi si riempiono di lacrime quando racconta che, di ritorno a casa e raccontando quello che  era successo, suo marito la respinse dicendo che se era ritornata viva era perché aveva lasciato che i soldati abusassero di lei.
María Toj non si separa da sua nipote, è il suo più tesoro più caro, è l'unica che la mantiene in vita. Sua nipote ed anche la sua lotta affinché si riconosca quello successo: “Mi torturarono tanto come a mio figlio. Mi bruciarono tutto, mi lasciarono senza niente, solo con mio marito morto ed il mio dolore." I criminali vivono a loro agio per le strade, perfino convivono nello stesso villaggio, e la cosa peggiore è che le situazioni di violenza continuano ad avvenire ogni giorno. María Toj afferma come, una settimana fa, "ad una donna le tagliarono il seno, la torturarono, la violentarono e dopo la bruciarono viva proprio qui a lato."
La Spagna darà voce a queste donne. Il giudice Pedraz ha appena ammesso a tramite un approfondimento del ricorso del 1999 nel quale si contempla come un crimine internazionale la violenza di genere in Guatemala durante il conflitto. L'approfondimento, presentate dall'ONG Women's Link dall’avvocato Almudena Bernabeu, l'unica donna spagnola che lavora casi di Giustizia Universale nel Tribunale Nazionale Spagnolo e negli Stati Uniti, nel Center of Justice and Accountability, comprende per la prima volta l'orrore al quale furono sottomesse queste donne.
Perito della causa sarà Patricia Sellers, la prima donna che ottenne che dichiarassero la violenza sessuale come arma di guerra nei tribunali internazionali speciali dell'ex-Yugoslavia e Ruanda. "Quando violi un essere umano lo trasformi in un morto vivente, gli rubi la sua più profonda intimità e uccidi il suo futuro. Se vuoi annichilire un paese questa è la migliore maniera di farlo. La tortura sessuale è la più distruttiva delle armi", segnala Sellers. Ed aggiunge che "è la prima volta che la violazione si giudica come genocidio in un tribunale nazionale e questo crea un precedente storico. Invia un chiaro messaggio ai colpevoli: non c'è posto per nascondersi, gli Stati non hanno bisogno di tribunali speciali."
"Questo giudizio aprirà un dibattito perché la mancanza di giustizia è ciò che fa in modo che la violenza di genere aumenti", dice Almudena Bernabeu. Paloma Soria, l'avvocato di Women's Link, afferma che "la società guatemalteca equipara le violenze sessuali e la tortura alle donne con il furto del bestiame, con la bruciatura della milpa. È necessario cambiare questo e che queste donne smettano di essere invisibili davanti alla società."
Ofelia Di Pablo / Javier Piccione, El Pais,16/10/2011