sabato 24 aprile 2010
109 - MIGRAZIONI, DONNE E FAMIGLIA: IL COSTO UMANO E SOCIALE DELLA MIGRAZIONE INTERNAZIONALE
In una società che genera emigranti, come quella del Guatemala (un milione e mezzo negli USA), il numero di famiglie interessate dal fenomeno migratorio è alto, secondo il dossier della OIM (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni) sulle rimesse e l’ambiente, il 22,5% di coloro che inviano denaro dagli USA sono mariti o mogli, e questo indica l’alto livello di persone che si fanno carico della famiglia, dei quali la maggior parte sono donne. Un’alta percentuale sono i figli (14,1%), il 6% sono genitori, e il 1,2% sono persone non legate da vincoli familiari.
I processi migratori generano dei cambiamenti che colpiscono la configurazione della famiglia in modo temporaneo o definitivo, modificando le interazioni tra i membri, i processi di comunicazione e socializzazione, i ruoli, le responsabilità e le autorità, modificando i vincoli affettivi e sociali sia per le famiglie che si adattano all’esperienza migratoria negli Stati Uniti, sia con le famiglie nucleari, che rimangono nel paese, o con le famiglie allargate, che entrano in relazione o si distanziano sulla base delle circostanze che riguardano il fenomeno migratorio.
La maggior parte delle migrazioni riguardano gli uomini, e questo fa sì che molte donne rimangano a farsi carico della famiglia, cosa che si traduce nella mancanza di protezione, in alcuni casi nell’abbandono, in altri casi ci sono differenti forme di dominazione, e in generale un sovraccarico di responsabilità che devono assumersi le donne. Le migrazioni internazionali causano anche dei cambiamenti nelle dinamiche familiari, dato che i figli ne sono danneggiati, perché crescono senza il riferimento della figura paterna.
Le parole di Rigoberta Menchù illustrano meglio quanto detto sopra quando afferma che “il maggior numero di vedove si registra a causa dell’immigrazione” (La Hora, 2/10/2008), cioè, parafrasando la Menchù, che in Guatemala ci sono più “vedove” in tempo di pace che in tempo di guerra, perché i loro mariti sono andati negli USA e la maggior parte continua ad aspettare o ignora la data del ritorno.
Le donne che sono rimaste in Guatemala si fanno carico della cura dei figli, di inviarli a scuola, della cura della casa e del terreno, delle coltivazioni e del raccolto, nelle famiglie contadine dell’Altopiano nel periodo della raccolta della canna da zucchero nella costa Sud. Il sovraccarico della figura materna implica un conseguente aumento dello stress e della depressione delle donne. Anche se non sono protagoniste delle migrazioni, soffrono le conseguenze di questo processo globale e locale.
D’altra parte, la migrazione degli uomini che lasciano le loro mogli, ha incrementato la partecipazione comunitaria delle donne, cioè esse ora formano parte di organizzazioni locali ed è rilevante la crescente partecipazione delle donne nella leadership comunitaria. Sono anche sorprendenti le storie di quelle donne che “approfittando del fatto che lo sposo non ci sia, fanno un grande sforzo per continuare gli studi” o formano parte della dirigenza di squadre di football. Rappresentano forse una luce in un panorama in gran parte grigio.
Mesa Nacional para las Migraciones (Menamig), Álvaro Caballeros, Adital, 12/04/10