venerdì 15 gennaio 2010
31 - RAPPORTO DOYLE - 3 -
È evidente dall’archivio che i soldati sul campo che lavoravano nell’area delle operazioni dovevano informare i loro superiori di tutti i dettagli sui risultati dell’offensiva, i suoi problemi, bisogni e successi in modo rutinario durante la stessa operazione. L’Ordine di Operazione n.1 emesso dal capo di Sofia (ubicato in Nebaj) specifica per esempio:
Istruzioni per il coordinamento: 2. informare immediatamente sia sul numero e la composizione del nemico, sial sulla direzione di movimento, 8. le Compagnie, all’atto di occupare le posizioni di assedio, lo comunicheranno al Posto di Comando con la parola “Gloria”, 10. La Seconda Compagnia a conclusione del rastrellamento del Cerro XESIBACBITZ lo notificherà al Posto di Comando perché questo dia l’ordine dell’inizio della tappa di rastrellamento finale dei crepacci.
Esiste un documento normativo utilizzato dagli ufficiali superiori per consegnare le informazioni all’Alto Comando, denominato “Dossier Periodico delle Operazioni” (IPO), e un altro generato al livello di pattuglia (consegnato al Comando a Nebaj) che era chiamato “Informazioni di Pattuglia”.
Abbiamo accesso a due IPO nell’archivio. L’IPO n.1 dice chiaramente che le altre unità anche produssero i loro Dossier Periodici di Operazioni, incluso la Task Force Gumarcaj, la Brigata Militare di Huehuetenango, il Distaccamento di Nebaj e il Distaccamento di Chajul – tutti luoghi e/o unità tra le più importanti nell’operazione. Questa circolazione costante di informazioni tra l’Alto Comando, il Comando delle operazioni e i soldati sul campo, è prova dell’ampiezza del comando e del controllo saldo che esisteva nell’Esercito durante questo tipo di offensive contro insurrezionali.
Il Colonnello Castellanos spedì l’IPO n.1, corrispondente al Primo Battaglione di Paracadutisti (impegnato nell’Operazione Sofia) del periodo compreso tra il 16 al 31 luglio 1982, mediante una comunicazione con data 5 agosto diretto al Capo del EMGE.
E’ evidente nei documenti che l’Esercito associava gli abitanti al comunismo e pertanto li considerava come nemici e bersagli legittimi. “Durante più di 10 anni” dice il Dossier Periodico delle Operazioni n.001, “i gruppi sovversivi che hanno operato nell’area del Triangolo Ixil, sono riusciti a portare avanti un lavoro completo di coscientizzazione ideologica in tutta la popolazione, avendo ottenuto il 100% di appoggio”. Un Dossier di Pattuglia lamenta lo stato di abbandono nel quale si trova la maggioranza della comunità rastrellate dalle truppe: “Nelle aldeas non c’è gente, si sono nascosti tutti”. Il fatto che gli abitanti avevano molta paura dei soldati è stato interpretato come un altro segnale della loro tendenza ideologica invece di una risposta razionale alle azioni degli stessi soldati: “I guerriglieri hanno conquistato tutta la gente, dato che quando arriva l’Esercito si nascondono sulle montagne”.
D’accordo con queste idee, le unità vedevano come intercambiabili i nemici combattenti e i loro “collaboratori e simpatizzanti”, cioè gli abitanti indigeni dell’area.
Ci sono pochi scontri diretti con i guerriglieri documentati nei dossier di Sofia – che comprendono un periodo di un mese e tre giorni di operazioni – però ci sono molteplici incontri e azioni contro gente disarmata.
Frequentemente questa gente è identificata come “FIL” o Forze Irregolari Locali: persone responsabili di azioni di autodifesa contro l’Esercito, come tagliare le linee telefoniche, costruzione di barricate nelle strade per ostacolare i movimenti delle truppe. Il concetto di FIL era molto ampio, dato che includeva perfino la gente più vulnerabile (bambini, anziani, per esempio). Se non li uccidevano, le unità dell’Esercito li “recuperavano”, li evacuavano e li imprigionavano in uno dei distaccamenti militari nell’area.
(Kate Doyle, in The National Security Archive)