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mercoledì 13 gennaio 2010

29 - RAPPORTO DOYLE - 2 -

Per dimostrare che il sistema di comando e controllo operava durante questa operazione “Sofia” (e per analogia durante le altre operazioni contro insurrezionali del periodo) bisogna sottolineare che gli autori dei massacri, delle distruzioni dei villaggi e dei raccolti e dell’uccisione degli animali, del bombardamento dei rifugi, ecc, erano truppe subordinate degli imputati, e che gli imputati sapevano o dovevano aver saputo dei crimini commessi, e che essi non erano riusciti a punire gli abusi.
E’ importante dimostrare che le azioni dei soldati sul campo erano il risultato diretto degli ordini dei loro ufficiali superiori, e che gli ufficiali non solo diedero inizio alle operazioni con i propri ordini, ma anche le seguirono molto attentamente, erano a conoscenza di tutto in “tempo reale”, inviarono nuove istruzioni durante tutte le operazioni che erano portate avanti dalle truppe, insomma, ebbero il totale controllo delle operazioni mentre erano portate avanti. I documenti di Sofia ci danno indicazioni di tutto ciò.
La pianificazione dell’operazione iniziò con un ordine del Capo di Stato Maggiore Generale dell’Esercito (EMGE) Héctor Mario López Fuentes, inviato per cablogramma l’8 luglio 1982, diretto al Comandante della Base Militare delle Truppe Paracadutiste “General Felipe Cruz” (BMTP, con sede a Puerto San Josè, Escuintla), Francisco Ángel Castellanos Góngora: Per favore, Prendere  nota, operazione richiesta area stabilita autorizzata, dipendendo sua unità amministrativamente e operativamente questo corpo, indipendentemente comando Fuerza Tarea Gumarcaj e zona militare MDGS Huehuetenango, effettui coordinamento. Accusare ricevuta. Lopez Fuentes, JEMGE.
La risposta giunse il 14 di luglio, firmata dal Comandante Castellanos, come “Copia n.1 di 20” del Piano dell’Operazione Sofia, “elaborato da questo comando in compimento a quanto ordinato dal Comando dello Stato Maggiore Generale dell’Esercito”.  Si inviarono altre copie del Piano alle unità che stavano partecipando all’operazione: Copia n.2 al Comandante della Forza Aerea del Guatemala, n.3 al Comandante della Brigata Militare di Quezaltenango, n.4 al Comandante della Zona Militare di Huehuetenango, e n.5 al Comandante della Task Force “Gumarcaj”.
Le comunicazioni continuarono con decine di messaggi dal Comando di Sofia al Capo dell’EMGE, e dal comandante della BMTP (che capeggiava l’operazione) ai comandanti in Nebaj, Quichè – dove si trovava la sede dell’offensiva – che riportavano avvenimenti importanti come banali, come una domanda per l’uso di un elicottero, novità su incontri con il nemico, la “cattura” di persone, incluso anziani e bambini, il “recupero” di armi, la distruzione di depositi di cibo e di abiti e di animali. Ci sono altri ordini inviati dall’Alto Comando ai comandanti subordinati: per esempio un ordine del Capo del EMGE alla Brigata Militare della Guardia d’Onore, con sede a Città del Guatemala, perché una compagnia di armi pesanti e mortai da 120 mm. partecipi all’operazione; un altro ordine con istruzioni emesse dal Viceministro Mejía Víctores (“Per disposizioni del Signor Presidente della Repubblica e comandante generale dell’esercito”), sui feriti militari e paramilitari destinati all’Ospedale Militare Centrale. Abbiamo le risposte degli ordini, che sono stati compiuti.
(Kate Doyle, in The National Security Archive)