lunedì 13 settembre 2010
254 - GENOCIDIO, FORMA ESTREMA DI RAZZISMO
In questo mese (di agosto) si commemorano due date importanti a livello internazionale: la Giornata Mondiale dei Popoli Indigeni - 9 agosto - e la nascita di Nelson Mandela -18 di agosto -, sudafricano, Premio Nobel della Pace per la sua instancabile lotta contro la segregazione razziale nel suo paese.
Sono date per riflettere sui diritti umani individuali e collettivi di grandi gruppi e popoli che hanno sofferto l’esclusione per centinaia di anni.
Nel nostro paese, il razzismo fu causa importante dei massacri commessi dall'Esercito e dai suoi gruppi paramilitari durante il conflitto armato interno, specialmente tra 1981 e 1982. La politica della terra bruciata causò la distruzione di più di 400 comunità rurali ed tolse la vita di molte migliaia di persone, in gran maggioranza indigeni. Il Tribunale Permanente dei Popoli [1] dichiarò, nella Sessione sul Guatemala, già nel gennaio 1983 che "i massacri ed il terrore scatenato contro le etnie indigene, col manifesto proposito di distruggerle parzialmente, costituisce genocidio." E che lo Stato del Guatemala, in forma specifica il Governo di Ríos Montt, era responsabile del delitto di genocidio.
A quel Tribunale giunse il sacerdote gesuita ed antropologo guatemalteco Ricardo Falla a presentare la denuncia di uno dei maggiori massacri commessi durante la guerra: il massacro di San Francisco. In questo villaggio situato in Huehuetenango, il 17 Luglio di 1982 furono assassinati più di 370 bambini, anziani, donne ed uomini dell'etnia Chuj.
Questa comunità fu sterminata. Sopravvissero solo coloro non si trovavano lì quello giorno e i pochi che, aiutati dal loro ingegno, dall'oscurità della notte e dalla pioggia, riuscirono a scappare. In totale, una ventina di persone.
Il padre Falla sta per pubblicare il suo più recente libro che affronta in forma molto più ampia questo massacro, dai suoi antecedenti storici, le sue implicazioni posteriori ed una proposta di futuro. Il libro racconta il massacro a partire dall'attestazione di tre testimoni oculari; ma non si limita solo a descrivere la tragedia, bensì analizza la storia della comunità, per verificare come si arrivò al massacro. Racconta che cosa successe ai sopravvissuti, coloro che attraversarono la frontiera messicana cercando salvare le loro vite insieme a migliaia di contadini terrorizzati.
Il libro narra le loro esperienze nei nascondigli e il ritorno in Guatemala, le loro lotte per recuperare le loro terre, la loro identità, la loro storia e la loro dignità. La loro partecipazione, sia nel processo delle esumazione e della ricerca di un posto dove celebrare un degno funerale ai loro parenti e vicini, sia nei processi legali per tentare di portare in giudizio i responsabili di simili crimini. Processi legali che seguono impantanati e che permettono che coloro che hanno maggiormente violato i diritti umani nel nostro paese continuino ad essere liberi e perfino occupando per anni carichi importanti nel Governo e nell'Esercito.
Perché, tanti anni dopo, continuare a parlare dei massacri e del genocidio? perché non confinarli nel passato, ancora meglio, nel’oblio, come alcuni propongono? Per molte ragioni, ma ne menzionerò solo due:
- Perché la storia del conflitto armato nel nostro paese non è un tema del passato, ha grandi conseguenze nel presente e da noi dipende come interesserà il nostro futuro.
- Perché i popoli indigeni ed il Guatemala in generale devono continuare a combattere per la giustizia, lottando, con le parole del padre Falla, "per la sopravvivenza in un Stato che continua a praticare silenziosamente un genocidio di bassa intensità."
Guatemala, 16 agosto del 2010.
Nota: [1] sessione Guatemala. Madrid, 27-31 gennaio di 1983. IEPALA, Madrid. p. 400.
(Di Helvi Mendizabal, Avancso)
Adital