Sono le 5,30 della mattina nella piazza della Costituzione. Nel centro nevralgico della capitale chapina, alcune colombe cominciano già a affollare le fontane alla ricerca della colazione, anche il signor José e la signora Maria la cercano, mentre aspettano gli altri. Gli altri sono gente che proviene da tutto l'altopiano del Guatemala, sono qui perché oggi costruiscono la storia, realizzano un prodigio che fino ad ora nessuno aveva osato.
Alle 8 della mattina la piazza comincia a riempirsi, un agente di polizia municipale, con quella strana uniforme a metà tra boby inglese e cacciatore di safari, osserva l’arrivo delle persone e pensa “altra confusione”. Don José l'osserva coi suoi occhi di falco che hanno visto di tutto e gli legge il pensiero. No, oggi non è una confusione in più, ma oggi è differente.
Alle 9,30 della mattina tutto è pronto. Le bandiere sventolano, le grida si alzano e si sente la voce di un leader:" Andiamo compagni, iniziamo con calma la marcia verso il Congresso." Il Congresso: il luogo dove i legislatori fanno e disfano le leggi di questo paese, molte volte senza pensare al paese, è ironico ma certo. La signora Maria porta un striscione e grida che non vuole le attività minerarie nel suo territorio, alcuni osservano il mare di gente, più di 5.000 persone arrivate da tutti gli angoli dell'altopiano occidentale del Guatemala. “Sono già arrivati i confusionari e coloro che sono contro lo sviluppo" pensano alcuni. Nessuno sa perché stanno lì, non importa lo capiranno dopo. Trenta minuti dopo, la grande marcia arriva fino all’angolo della strada nella quale si trova il Congresso, gira e continua la marcia. Alle dieci e un quarto la marcia arriva alle porte del Congresso, dove ci si aspetta una dichiarazione pubblica, ed in quell'istante esplode la “bomba”: questa non è una semplice riunione né una marcia contro le multinazionali. Denunciano il presidente della Corte Suprema di Giustizia del Guatemala per falsità ideologica.
Secondo quanto scritto nel comunicato pubblico, il signor Erick Álvarez Manchilla era la rappresentante legale dell'impresa Peridot S.A., quella che iniziò le attività per l’attribuzione dei titoli di proprietà dei terreni di San Miguel Ixtahuacán, la stessa impresa che ha poi girato quei titoli a Montana Exploradora, affinché sviluppasse la miniera Marlin. Sono le stesse imprese che non vollero rendersi conto che il territorio di San Miguel appartiene al popolo intero di San Miguel Ixtahuacán perché così risulta nel foglio 58 del libro 133 del secondo registro della proprietà del dipartimento di San Marcos. A questa accusa sarà accomunato anche Jorge Asencio Aguirre, rappresentante legale della miniera.
L’allegria esplode, le voci che chiedono giustizia aumentano e la festa continua. Alle dieci e mezzo Rigoberta Menchú, la donna indigena che vinse il premio Nobel della pace, prende la parola, parla dell'importanza dell’evento di oggi, nessuno aveva osato realizzare una denuncia come popolo organizzato, le comunità indigene non erano arrivate mai tanto lontano. Sì, non c'è dubbio, oggi si sta costruendo la storia.
La marcia continua dopo alcuni minuti, in direzione alla Corte. Passano appena venti minuti dopo le dieci, quando appare un’altra illustre persona. Monsignor Alvaro Ramazzini, il vescovo di San Marcos, l'uomo che ha osato in modo coraggioso mettere in dubbio lo "sviluppo" prodotto da un'impresa transnazionale che estrae risorse naturali, l’uomo che è diventato il referente per denunciare ingiustizie contro il popolo povero ed umile di questo paese.
Alle 11,20 di questo storico giorno la marcia arriva alla sua meta finale. L'edificio che ospita la Corte Suprema di giustizia attende. Denunciano il loro presidente per un presunto delitto di falsità ideologica, per le irregolarità nell'acquisto e vendita di terreni in San Miguel e ciò, secondo la legge che si esercita in quell'edificio, è un delitto. Si dirigono ancora alla moltitudine, questa volta è Monsignor Ramazzini che parla. Implora giustizia ed il compimento dello stato di diritto nel quale si dice che dovremmo vivere. Passati otto minuti dopo le 11,30, ventidue persone lasciano le porte del tribunale. Sono i diciassette querelanti, quattordici di essi membri di comunità di San Miguel Ixtahuacán, due rappresentanti di organizzazioni di diritti umani, il vescovo di San Marcos, che ha firmato anche la denuncia e l’equipe di cinque avvocati che difendono i diritti di una popolazione intera; i Mam di San Miguel, e i Maya di San Marcos.
Alle 11,40 viene presentata la denuncia alla segretaria degli affari penali. Si mette il timbro per ricevuta e si firma. È questo il momento che ha appena fatto la storia. Per la prima volta nella storia giudiziaria del Guatemala, un paese, una comunità indigena, i maya-mam, presenta denuncia penale contro una multinazionale, le imprese che collaborano in Guatemala ed i loro rappresentanti legali. E poco importa se questi sono intoccabili, come il presidente della Corte Suprema di Giustizia. Sono esseri umani, hanno commesso delitti e possono essere accusati.
Mancano cinque minuti a mezzogiorno. La piazza è affollata. Tutti sono in attesa ed appaiono i querelanti. Gli avvocati spiegano il processo, alcuni chiedono l'immediata detenzione del signor Álvarez e la stessa cosa per il signore Aguirre. Ma no, viviamo in un stato di diritto, bisogna rispettare le norme. Ora incominciano le indagini, ci saranno richieste, cambiamenti, riunioni, citazioni, investigazioni… si è aperta la scatola ed ora comincerà un processo molto lungo. Non venire meno, questo è l’impegno, oggi si è fatta la storia, bisogna continuare.
Dopo mezz'ora la gente si disperde, speranzosa perché è stato fatto un passo che nessuno sperava, le comunità che resistono hanno iniziato una nuova battaglia. Non con armi né con violenza. Sarà una battaglia giuridica ed il primo episodio si è vissuto il 28 di Luglio 2010 a Città del Guatemala.
Molti giornalisti raccolgono le loro macchine fotografiche, mentre due di essi parlano: “E’ finito", "Si" don José li ascolta e sorride mentre pensa "No ragazzi, questo non è finito. Questo incomincia, perché oggi, oggi abbiamo fatto la storia."
Copae, 29/07/2010