28 partiti politici e 10 candidati alla presidenza - tra essi 3 donne – si disputeranno domenica 11 settembre la volontà di sette milioni trecentomila guatemaltechi, su una popolazione totale di 14 milioni di abitanti. Le inchieste preliminari anticipano la possibile vittoria del candidato di estrema destra Partido Patriota, l'ex-generale dell'esercito Otto Pérez Molina. Minacce di autoritarismo e "mano dura" aleggiano sul futuro politico del più popolosa delle nazioni centroamericane, nella quale il tema dell'insicurezza cittadina occupa un posto centrale. Tra 15 e 20 persone muoiono per giorno in tutto il paese a causa della violenza sociale di origine delinquenziale.
Se l'elettorato aveva avuto la forza di respingere, nelle elezioni del novembre 2003, l'ex-dittatore Efraín Ríos Montt, (convertitosi in pastore evangelico fondamentalista), questa occasione potrebbe aprire le porte istituzionali ad un'opzione non meno militarista di quella che aveva proposto a quel tempo il generale.
La fragile democrazia guatemalteca, concepita nella sua attuale versione dopo le negoziazioni di pace tra il potere e la guerriglia dell'URNG nel dicembre 1996, rischia così di fare un passo indietro nel suo lento consolidamento. E si pone in controtendenza, in una regione che-salvo l'eccezione dell’Honduras - si è allontanata nel secolo XXI da colpi di stato e opzioni di estrema destra.
Destra- estrema destra dominante
Domenica 11 settembre, oltre all’esecutivo, l'elettorato dovrà designare 158 deputati nazionali; 20 deputati al Parlamento Centroamericano e 333 autorità municipali.
Se si compiessero le previsioni dei sondaggi elettorali dominanti alla fine di agosto, l'ex-generale Pérez Molina vincerebbe agevolmente. La percentuale dal 40 a 45 di voti che potrebbe raccogliere, tuttavia, non gli permetterebbero di conquistare il potere al primo turno. Il secondo turno, che si realizzerà il 6 novembre, sarebbe per lui un esercizio puramente formale, trovandosi oggi davanti a tutti i candidati.
Molto dietro a Pérez Molina, si trovano secondo i sondaggi della fine di agosto, anche i candidati di destra Manuel Baldizón, intorno a 18,5%, ed Eduardo Suger, con l’11% delle intenzioni di voto.
Rigoberta Menchú, premio Nobel della Pace, sostenuta dall'antica guerriglia e dal partito indigeno Winaq otterrebbe meno del 3% dei voti. In un paese grande, dove il 70% della popolazione è indigeno, una parte maggioritaria della stessa non si sente oggi rappresentata dalle organizzazioni politico-indigene con aspirazioni elettorali.
Sicurezza, diritti umani, sovranità alimentare
Benché la problematica della violenza sociale appaia come un tema importante, l’estrema destra lo sottolinea e lo utilizza politicamente.
“Il mio Governo sarà con mano dura; combatto il crimine organizzato e tutta la violenza con l'Esercito... si creeranno strategie militari per sradicare la violenza dalla sua radice", enfatizza nei suoi discorsi Pérez Molina. Ricorrendo, perfino, a ristabilire le “Fuerzas de tarea” (task force), gruppi paramilitari, una tattica militare usata per l'Esercito contro la guerriglia tanto in Guatemala come in buona parte dell'America Latina durante le decadi degli anni 70,80,90, quando imperava la Dottrina della Sicurezza Nazionale.
"Molte delle nostre controparti in Guatemala ci dicono la loro gran preoccupazione per questo discorso e per questa prospettiva prossima di maggiore violenza istituzionale e ondata repressiva.... che minaccerebbe principalmente i difensori dei diritti umani e i movimenti sociali nella loro totalità", nota Karl Heuberger, responsabile dell'ONG evangelica svizzera HEKS-EPER per l'America Centrale.
Per Heuberger, il tema della violenza nasconde altre due tematiche molto presenti nella preoccupazione quotidiana dei guatemaltechi: la sicurezza alimentare e la persecuzione dei difensori dei diritti umani.
Adital, 2/09/2011