«Una decisione che non condividiamo», precisa.
Parla sempre al plurale questa 46enne candidata al Nobel per la Pace. «La Procura è un sistema
verticistico. Fin dall’inizio ho cercato di introdurvi uno stile “più femminile” caratterizzato dal lavoro di squadra e dal dialogo», spiega mentre sistema i capelli ricci e ribelli. Alle sue spalle, un’enorme finestra mostra i contrasti della capitale. La Procura si affaccia sul centro dove palazzi moderni affiancano le baracche della Limonada. Miseria e ingiustizia sono terreno fertile per la delinquenza.
Ma Paz y Paz non si arrende. «Abbiamo aumentato la proporzione di omicidi risolti dal 5 al 30 per cento – afferma –. Tra le nostre priorità, oltre la lotta al narcotraffico e alle gang, c’è la tutela della donna dagli abusi. Fino a dieci anni fa, la violenza domestica era considerata un fatto privato. Ora, in base a due leggi recenti, è un crimine specifico.
Come pure il femminicidio per cui sono stati creati pubblici ministeri e tribunali ad hoc».
Piccoli ma importanti passi per ridare attendibilità a un’istituzione «verso cui fino a 5-6 anni fa c’era una sfiducia totale», aggiunge. Prima dell’estate, il Procuratore terminerà il suo incarico, sempre che le pressioni – la sua determinazione l’ha resa impopolare anche fra molti politici – non la costringano ad anticipare il congedo. Paz y Paz non sembra preoccupata: «Abbiamo cominciato un percorso. Non sarà facile tornare indietro. Quando si fa giustizia si manda un messaggio importante alla società: si ribadisce che tutti i cittadini hanno uguali diritti e doveri. E che nessuno è al di sopra della legge».