Questo è ciò che spiega perché non vi siete sbagliati ad inviarmi qui. Ho vissuto 23 anni a San Marcos, e come sempre ho detto, l’esperienza in san Marcos ha segnato il mio cuore, il cuore di essere umano e la mia pratica cristiana e il mio impegno come vescovo, per questo oggi sono emozionato a vedere qui amiche e amici con i quali abbiamo condiviso momenti difficili e momenti lieti.
Ora sono a Huehuetenango con lo stesso entusiasmo, con la stessa allegria, con lo stesso desiderio di essere parte di voi, di questi popoli indigeni che in Huehuetenango sono di più che in San Marcos. Qui ci sono sette etnie differenti con sette lingue, in san Marcos ci sono due etnie, ma mi fa piacere vedere che ora si parla di popolo Mam oltrepassando i confini dei dipartimenti e anche oltre, attraversando la frontiera con i nostri fratelli del Chiapas,
In questo senso vorrei ora parlare come un guatemalteco che ha vissuto molti anni nella capitale, che pensava sempre di conoscere il suo paese, ma che ha avuto bisogno dell’esperienza in San Marcos per capire che era un ignorante e che non conosceva la ricchezza della sapienza, dell’energia, della resistenza dei popoli indigeni. E’ vero, ho avuto un contatto di solo otto mesi con i fratelli kachiqueles in San Juan Sacatepequez e lì è iniziato il mio apprendistato, e lì è iniziata la mia esperienza di stare a contatto diretto con la popolazione indigena. E poi questa comprensione è continuata in San Marcos, e ora la inizio nuovamente in Huehuetenango, perché nelle parrocchie che ho visitato, che sono in maggior parte composte da popolazione indigena, mi rendo conto che la mia ignoranza è ancora grande, e che davanti a me ho questa sfida, di continuare a conoscere la ricchezza, la profondità spirituale di questi popoli ancestrali. In questo senso, a me come guatemalteco ha sempre fatto male l’emarginazione, l’esclusione dei popoli indigeni. Molte volte noi vescovi l’abbiamo detto, ma siamo stati una voce che grida nel deserto, e nessuno ci ascolta.
Mi riferisco alla lettera che abbiamo scritto anni fa, prima della firma degli accordi di pace, nella quale noi vescovi ricordavamo che ci sono due grandi settori della popolazione guatemalteca che sono sempre stati esclusi ed emarginati: i popoli indigeni e i contadini.
Lo abbiamo detto molte volte, e oggi mi fa un po’ tristezza e dispiacere vedere che là si sta facendo una celebrazione governativa, e qui ci siamo noi del popolo, mi fa tristezza perché questo significa per me che lo stato del Guatemala non è riuscito a capire che deve essere reso concreto ciò che è stato firmato negli accordi di pace.
Siamo una realtà multiculturale, multietnica e multilingue, però sembra che non sia così oggi, là ci sono alcuni e qui altri, quando dovremmo stare tutti insieme perché siamo lo stesso popolo che abita in questo territorio anche con differenze culturali.
In questo senso io ho ascoltato con attenzione l’intervento di Eliu, del CPO, e sono totalmente d’accordo, ci sono impegni che continuano ad essere davanti a noi, questo paese ha bisogno non solo di una democrazia reale e partecipativa, ma ha bisogno di una democrazia radicale, dove sia veramente il popolo che prende le decisioni, attraverso processi elettorali nei quali veramente la popolazione scelga in totale libertà e senza nessuna manipolazione, chi deve dirigere il paese. Speriamo nelle prossime elezioni di non ripetere gli errori di questi anni, e che ora in questo ciclo della nuova era non ci stiamo sempre lamentando, perché noi abbiamo la soluzione. Come molto bene sta scritto nell’agenda latinoamericana di quest’anno, noi siamo il 99% e loro sono l’1%.
La realtà è questa, questo paese è governato da un settore minoritario che prende le decisioni a nome della maggioranza impoverita, che continua a sostenere un modello economico liberale che non tiene in considerazione la persona umana, ma quello che importa è il lucro e il guadagno.
Io oggi leggevo le statistiche della gente impoverita in questo paese, con alcuni particolari che mi lasciavano non spaventato ma perplesso, perché uno li intuisce, ma sono causa di indignazione e motivo per dire che dobbiamo continuare a lottare. Questo paese non solo ha bisogno di una democrazia radicale ma anche un modello economico totalmente differente e profondamente alternativo. Come ho letto e come ha detto bene il vescovo Pedro Casaldaliga, “economia” vuol dire amministrazione della casa, e la casa è questa terra nella quale tutti viviamo, in questo paese dovrebbe essere una economia che davvero non rifletta i segni indignanti e vergognosi di un 59% di bambini indigeni denutriti, di un paese che esporta caffè, zucchero, banane, mentre qui moltissimi stanno morendo di fame e ci sono livelli di denutrizione cronica infantile che fanno vergogna, che ripugnano e indignano dal più profondo del cuore. Per questo io continuo a sostenere la necessità di una riforma agraria integrale, non sullo stile di ciò che successe nell’anno 1954, perché la storia ci insegna che non dobbiamo ripetere gli stessi errori, però sì, una riforma agraria integrale che dia da mangiare alla maggioranza della gente denutrita e impoverita di questo paese.
Continuiamo a lottare davanti alla Corte Costituzionale, io mi chiedo come è possibile che magistrati onorati della Corte Costituzionale non hanno rispettato i 20 giorni di termine per rispondere all’istanza che abbiamo presentato davanti a loro, per dichiarare anticostituzionale la legge mineraria, dove è l’onorabilità della corte costituzionale? Dov’è la l’onorabilità della Corte suprema di giustizia, che davanti all’istanza per dichiarare che i territori di san Miguel Ixtahuacan appartengono al popolo di san Miguel Ixtahuacan, perché così risulta nel registro nazionale della proprietà, è passato più di un anno e mezzo, e non abbiamo avuto una risposta positiva?
Di che giustizia parliamo allora in questo paese?
E non ci vengano a dire che bisogna difendere il sistema di diritto, perché il sistema di diritto quando è a favore di pochi non è sistema di diritto, non è giustizia. E’ sul valore della giustizia che si deve ricostruire il sistema di diritto.
E che le mie parole non suonino a sedizione o incitazione alla ribellione, perché è questo l’argomento che utilizzano per mettere in carcere coloro che vogliono difendere gli interessi della popolazione.
Questo è il paese che abbiamo, davanti a noi si apre il 14° Baktun, e lo iniziamo, noi cristiani come i fratelli non cristiani però che credono in Dio, abbiamo davanti a noi un cammino lungo da percorrere, ma voglio terminare ripetendo le parole del libro sacro dei Maya Quichè: “Che nessuno rimanga indietro, che nessuno sia lasciato indietro”, che tutti andiamo avanti come un popolo che vuole veramente un futuro differente per la generazione futura.
Così che concludo ripetendo quello che dicevo all’inizio, fratelli delle popolazioni indigene, io a volte lo dico per scherzo, io sono ladino, ma non ho colpa di esserlo, comunque non nego la mia identità, al contrario, ma voglio dirvi, fratelli delle varie etnie che vivono in questo paese e che sono oggi rappresentate in Zaculeu: mentre voi siete, anche io sono, io sarò mentre voi siete.
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